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Tra cinema e architettura | Lost in translation

Mercoledì 30 maggio alle 21 al Palazzo Impellizzeri (Siracusa) si inaugura la rassegna cinematografica organizzata dalla facoltà di Architettura

Mercoledì 30 maggio alle 21 al Palazzo Impellizzeri, via Maestranza 99, Siracusa, ha inizio la rassegna cinematografica Tra cinema e architettura, a cura degli studenti della facoltà di Architettura e con la collaborazione di Carlo Truppi, Direttore Dipartimento ARP e di Alessandra Guarino, docente di Cinema, Fotografia e Televisione. Ogni martedì e mercoledì si alterneranno cinque film, da Lost in Translation di Sofia Coppola, passando per La sconosciuta di Giuseppe Tornatore, Arancia Meccanica di Stanley Kubrick e Crimini invisibili di Wim Wenders. La conclusione è fissata per il 27 giugno con la proiezione di Nostalghia di Andrei Tarkovskij. La rassegna sviluppa un’indagine e un viaggio lungo la linea di confine che lega il cinema all’architettura e in cui la visione collettiva dei film sarà l’occasione per riflettere sull’interazione profonda e sulle analogie che si producono in questa relazione, nella costruzione del paesaggio emotivo dello spettatore e nel marcare indelebilmente il nostro vissuto. È infatti nel segno di questa reciproca influenza fra le diverse forme dello spazio visivo e narrativo che si forma il nostro sguardo sul mondo e si costruisce la nostra esperienza. Le cinque opere proposte sono rappresentative di un cinema in cui filmare è “abitare il mondo”, atto fondativo dell’esistenza dell’uomo, capace di modificare lo spazio e di renderlo identitario. Riportandoci dalle “architetture della visione” ad un concetto di “luogo” come diretta espressione interiore e come necessità, come ritorno ad un nucleo di appartenenza e a quei “luoghi” - del viaggio e della solitudine - in cui gli uomini affrontano il dolore e la vita.

Programma

mercoledì 30 maggio - Lost in translation di Sofia Coppola (Usa 2003)

mercoledì 6 giugno - La sconosciuta di Giuseppe Tornatore (Ita-Fra 2006)

martedì 12 giugno - Arancia Meccanica di Stanley Kubrick (Gbr 1971)

martedì 19 giugno - Crimini invisibili di Wim Wenders (Fra-Ger 1971)

mercoledì 27 giugno - Nostalghia di Andrei Tarkovskij (Ita-Fra-Urss-1983)

 


 

  Lost in translation  (L'amore tradotto)

Bob (Bill Murray) è un uomo maturo in piena crisi di mezza età, che ha perduto il canale di comunicazione con la famiglia, nonché l’entusiasmo per il suo lavoro, specie quando questo lavoro lo porta in un paese straniero a girare una pubblicità per un whisky. Charlotte (Scarlett Johansson) è sposata da due anni con un fotografo (Giovanni Ribisi) ed è in piena crisi post-laurea, oltre che carente di attenzioni da parte dell’impegnato consorte. Entrambi risiedono in un lussuoso hotel nel cuore di Tokyo e, a causa del fuso orario (ma non solo) soffrono di insonnia e di tedio. Dai loro reiterati, casuali incontri, nasce uno strano legame in cui entrambi sembrano trovare sollievo. É riassumibile in queste poche righe la trama di Lost in Translation, seconda regia della trentenne Sofia Coppola. Ancora una volta la Coppola sceglie di giocare con i vuoti del racconto, con immagini libere da una ferrea consequenzialità, nelle quali si concentra il vero fulcro tematico-espressivo del film. Un baricentro incentrato sulla fuga, sul perimetro, sul nomadismo.
Due monadi/nomadi: è così che ci appaiono Bob e Charlotte, chiusi in se stessi loro malgrado, in cerca di qualcosa che apra la loro vita asfittica e regali di nuovo lo stupore dell’imprevisto. Ed è interessante notare come la loro grande differenza di età non pregiudichi questo sentire comune: è possibile provare questa solitudine, questa confusione esistenziale a venti come a cinquant’anni. E tanto più ci sorprende come la regista, così giovane, riesca, senza risultare saccente, ad esprimere questo travaglio di entrambe le età con tale naturalezza, introspezione e felice ironia. Autrice anche della sceneggiatura, la Coppola rinuncia ad impugnare la strategia del dialogo come arma rivelatrice e in questo il film rivela una qualità molto più europea che statunitense. I personaggi non sono “costretti” ad essere estroversi a beneficio della fluidità del racconto e della comprensione dello spettatore, che viene invece proiettato verso un’identificazione con la situazione, anziché con i personaggi stessi di cui conosce ben poco.
Non è poi secondaria la scelta di una città come Tokyo, una città caotica eppure armoniosa, dove la lingua non si intuisce neanche per sbaglio. Per rafforzare questo senso di alienazione e alterità, quando a parlare sono i giapponesi, non appaiono sottotitoli: in tal modo anche noi, come Bob e Charlotte, rimaniamo totalmente all’oscuro dei dialoghi. Ed è questo uno degli aspetti per cui il film, in certi momenti o, diciamo, per una certa atmosfera di fondo, assomiglia ad un viaggio, un on the road metropolitano, anche se partenze e ritorni restano fuori campo. Del resto, l’ispirazione è venuta alla Coppola proprio dai suoi numerosi viaggi a Tokyo, più o meno all’età della sua protagonista.
Riguardo al titolo, nella scena in cui Bob è sul set dello spot televisivo e viene incalzato da un regista logorroico, c’è un’interprete giapponese che gli traduce in due parole quello che il regista ha impiegato parecchio tempo a dire. E dove è andato a finire tutto ciò che è andato “perso con la traduzione”? La scena è ironica, una gag sulla risaputa differenza di tempi delle due lingue, eppure contiene il senso del film. Perché non è solo il giapponese che è difficile da tradurre, ma l’intera situazione in cui Bob si trova. E la stessa cosa vale per la ragazza. Charlotte è più curiosa e vitale di Bob: esce, va in giro, esplora templi e locali notturni. Eppure tutto ciò che vede la riporta alla propria solitudine e difficoltà di comunicare (con il marito, in primo luogo). Lo stesso rapporto che si crea tra i due è in qualche modo “intraducibile”, non etichettabile, difficilmente rapportabile a modelli di comportamento socio-amoroso. Qualcosa che va perso nel momento stesso in cui si tenta di trovargli una collocazione all’interno del già vissuto, del già esperito. Qualcosa di profondo e di profondamente fragile e impalpabile che dura giusto il tempo di un incontro. Eppure tutto questo il film lo racconta con una leggerezza da commedia, unendo toni amari ad altri giocosi e ironici. Con Lost in Translation Sofia Coppola riconferma il talento mostrato nel film d’esordio, Il giardino delle vergini suicide, ma qui è andata ben oltre, giocando su uno stile già definito e assolutamente personale: dalla scelta della colonna sonora, che sottolinea la divaricazione tra il paesaggio interiore e la dimensione aliena dell’ambiente esterno; alla regia “musicale”, nel senso di un morbido ondeggiare tra primi piani, sale vuote o affollate e edifici immensi che è al tempo stesso esplorare, ricordare e perdersi.

(30 maggio 2007)


Tra cinema e Architettura

  • Tra cinema e architettura | Nostalghia: Mercoledì 27 giugno alle 19.30, a Palazzo Impellizzeri (Siracusa), prosegue la rassegna cinematografica organizzata dalla facoltà di Architettura con il film di Andrei Tarkovskij (27 giugno 2007)
  • Tra cinema e architettura | Crimini invisibili: Martedì 19 giugno alle 21, a Palazzo Impellizzeri di Siracusa, prosegue la rassegna cinematografica di Architettura con il film di Wim Wenders (19 giugno 2007)
  • Tra cinema e architettura | Arancia meccanica: Martedì 12 giugno alle 21, a Palazzo Impellizzeri (Siracusa), prosegue la rassegna organizzata dalla facoltà di Architettura con il film di Stanley Kubrick (12 giugno 2007)
  • Tra cinema e architettura | La sconosciuta: Mercoledì 6 giugno alle 21, a Palazzo Impellizzeri (Siracusa), prosegue la rassegna della facoltà di Architettura con il film di Giuseppe Tornatore (06 giugno 2007)
  • Tra cinema e architettura | Lost in translation: Mercoledì 30 maggio alle 21 al Palazzo Impellizzeri (Siracusa) si inaugura la rassegna cinematografica organizzata dalla facoltà di Architettura (30 maggio 2007)
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