Domenica 7 novembre alle 21, al Centro Zo prosegue la programmazione della quinta edizione di AltreScene, che mette in scena otto spettacoli di teatro contemporaneo tra ottobre e novembre. La rassegna è organizzata in collaborazione con l'Associazione Statale 114.
Lo spettacolo in programma è Nunzio di Spiro Scimone. La regia è di Carlo Cecchi, con Francesco Sframeli e Spiro Scimone. Le scene sono di Sergio Tramonti, le luci di Domenico Maggioni.
Due solitudini che convivono, due uomini ai margini della vita. L’uno sempre in giro, per misteriosi incarichi, forse un killer. L’altro chiuso in casa, di guardia al frigorifero e alla malattia che gli squassa i polmoni. Sono i due protagonisti di Nunzio, sorprendente opera prima (nel ’94) di Spiro Scimone, giovane autore siciliano che insieme a Francesco Sframeli forma fin dagli inizi anche un’affiatata coppia di attori. Si ritrovano chiusi nello spazio di una cucina, attorno al tavolo che domina al centro di quell’unico ambiente che è casa, rifugio, tana. Dove entrambi si nascondono: a sé, al mondo. Entrambi incapaci di decidere del proprio destino, l’uno costretto a ubbidire agli ordini di un invisibile mandante, l’altro ad affidarsi alle pasticche e al lumicino acceso davanti all’immagine del Sacro Cuore, nel rifiuto di ammettere la malattia che lo sta uccidendo. In quello spazio chiuso il mondo esterno penetra solo attraverso i rumori di una sirena, il vuoto risuonare di telefonate mute, colpi battuti alla porta. E attraverso le buste infilate sotto la porta con cui arrivano soldi, biglietti aerei, una fotografia, forse le istruzioni per una prossima missione. Il testo è costruito su un dialogo serrato, fatto soprattutto di domande e risposte ribattute, ossessivo nelle sue ripetizioni. Giacché l’ossessione circolare è la sua misura, è lo specchio fedele di una situazione senza uscite. O meglio: da cui non si vuole uscire, perché quel che si intravede al di là è solo un buco nero senza ritorno. L’idea della morte, mai nominata, è l’ideale punto di incontro delle due solitudini dei protagonisti. Non c’è però rischio di patetismi, in Nunzio. Che anzi la chiave privilegiata è piuttosto una comicità agra e svagata, costruita sui corpi degli interpreti, clown privati di contesto e tesi verso un’apparente immobilità, in realtà una sottile trama di azioni e reazioni che si ricreano sera per sera. E’ in quei corpi sempre consapevoli di esistere su una scena, nell’intimità della loro lingua, nella complicità dei loro gesti, che leggiamo una disperata volontà di resistenza umana.
(07 novembre 2010)