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Eutanasia profili etici, giuridici, medici

Sabato 5 maggio alle 9, nell'aula magna della facoltà di Scienze politiche si apre il convegno sul delicato tema dell'eutanasia. Interviene il presidente della Commissione Giustizia del Senato Cesare Salvi

Sabato 5 maggio alle 9, nell'aula magna della facoltà di Scienze politiche si apre il convegno “Eutanasia: profili etici, giuridici, medici”, organizzata dalla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Catania. Al convegno, che sarà presieduto dal direttore del Dipartimento di Studi politici Salvatore Aleo e dal presidente del Consiglio delle Camere penali italiane Carmelo Peluso, interverrà il presidente della Commissione Giustizia del Senato Cesare Salvi.
I lavori saranno aperti dalla relazione della prof.ssa Beatrice Magro, docente di diritto penale, sul tema “Rifiuto di cure, libertà di morire e diritto penale”. Sono previsti inoltre gli interventi del presidente dell’Ordine provinciale dei Medici Ercole Cirino, di Padre Leone Calambrogio (preside del liceo “Galileo Galilei” di Catania), dell’avvocato penalista Enrico Trantino e dei docenti dell’Università di Catania Renato Bernardini (Farmacologia), Fabrizio Sciacca (Filosofia politica) e Delia La Rocca (Diritto privato).


(di Beatrice Magro professore associato di diritto penale nella facoltà di Scienze Politiche)

Il tema dell'eutanasia presenta, innanzitutto, serie difficoltà linguistiche e terminologiche, per il fatto di provocare all'ascoltatore, una istintiva reazione di repellenza e rifiuto.
Nei termini che animano il dibattito attuale, l'espressione eutanasia comprende una serie di situazioni che riguardano il capitolo dei trattamenti medici dei morenti, della cura del dolore, della definizione normativa di morte, del divieto di ostinazione terapeutica. In sostanza, ci si riferisce all'eutanasia come un particolare trattamento medico, un atto terapeutico, che prescindere da altre finalità che non siano quelle di alleviare il dolore di un paziente.
L'eutanasia, come problema cui apprestare una soluzione normativa, solleva questioni di senso che concernono la morte e il significato di essa all'interno della vita nelle moderne società occidentali. Il "modo" di morire oggi è profondamente mutato, non soltanto nel contesto sociale di riferimento, ma anche nella percezione del fenomeno da parte della cultura medica, abituata a vedere nella morte del paziente un fallimento terapeutico.
L'evoluzione della tecnica medica nella campo della rianimazione ha messo in campo la possibilità di un prolungamento della vita umana ben oltre le capacità fisiche dell'uomo. La nuova medicina può essere in grado di procrastinare la vita oltre il momento in cui il malato è in grado di dare a ciò che resta di essa, senso e valore. La capacità della scienza medica di realizzare interventi volti a salvare a tutti i costi la vita umana, di somministrare cure che comportano sì un prolungamento della vita, ma anche un'interminabile agonia o che appaiono eccessive o sproporzionate rispetto alle possibilità di guarigione, o meglio, rispetto alle possibilità di un minimo di realizzazione della vita di relazione o cognitiva, sta mettendo in atto un processo inverso, di profonda messa in crisi del ruolo, ed infine del senso, della medicina moderna.
Questi fenomeni conducono verso una maggiore valorizzazione della volontà del paziente nell'ambito della relazione terapeutica anche quando in situazioni di estrema sofferenza questa volontà possa sembrare in contrasto con l'istinto di vita, nonché ad una maggiore attenzione verso l'obbiettivo della qualità della vita del paziente inguaribile, individuando in questa fase del trattamento medico in cui viene meno la prospettiva di una cura eziologia della patologia, il compito primario del medico di alleviare il dolore, anche quando ciò possa condurre ad una offuscamento della coscienza, e forse, ad accelerare la morte.
La prospettiva della "tutela da se stessi", di un paternalismo moderato e infine dei
rapporti tra Stato e libertà individuale, è dunque alla base della definizione stessa
dell'ambiguo e polisematico termine. Da un lato la necessità di individuare limiti ad uno sfrenato individualismo, ma dall'altra l'altrettanto sentita necessità di dare
giusto spazio e rilevanza ad una concezione della tutela della vita più "umana", ovvero più sensibile ed attenta ai bisogni materiali di un individuo concreto, in carne ed ossa, impongono una rivisitazione dell'intero ordinamento giuridico. Passano quindi in rassegna norme del codice civile ( art.5 c.c), ma anche norme del codice penale, incentrate su una concezione dell'uomo tutta finalizzata alla realizzazione di doveri, verso lo Stato, verso la famiglia, verso se stessi, ma anche dimentica della dimensione individuale. D'altra parte la convenzione di Oviedo, le norme costituizionali sembrano condurre verso una dimensione opposta, in cui
l'affermazione del principio personalistico, della dignità umana, inducono a dare
massimo rispetto ed ascolto alle volontà individuali.
Queste quindi le premesse culturali che stanno alla base di una attenta ricognizione dei rapporti e delle responsabilità del medico nei confronti del paziente, allo scopo di sfuggire dalla tentazione di mettere la testa sotto la sabbia, di far finta di niente, per non incappare nei meandri di una giustizia spesso sorda alle ragioni umane.
Queste le premesse culturali di una lettura della recente casistica, e delle timide e
contraddittorie risposte ai problemi della prassi fornite da una giurisprudenza non
abbastanza forte politicamente da poter assumere le responsabilità di una chiara e netta presa di posizione politica su un tema "eticamente sensibile".

(05 maggio 2007)

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