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Quando si è qualcuno

Mercoledì 3 e giovedì 4 giugno, nell'Auditorium del Monastero dei Benedettini, va in scena lo spettacolo tratto da "I vecchi e i giovani" di Luigi Pirandello

La locandina

Mercoledì 3 e giovedì 4 giugno, nell'Auditorium del Monastero dei Benedettini, va in scena lo spettacolo Quando si è Qualcuno, tratto dal romanzo di Luigi Pirandello "I vecchi e i giovani", nella riduzione del prof. Placido Bucolo, docente della facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania, che ha curato anche la regia.

L'opera teatrale trae non a caso ispirazione dall'opera di Luigi Pirandello per rappresentare il rapporto docenti-discenti, la serata sarà inoltre l'occasione per proporre un incontro speciale con i docenti e con gli allievi per mezzo di un'omonima compagnia teatrale, chiamata a rappresentare Quando si è Qualcuno, che dell'opera "I vecchi e i giovani" è la proiezione farsesco-caricaturale.

L'iniziativa si avvale del coinvolgimento, oltre che dei Dipartimenti Cut (Scienze della Cultura, dell'Uomo e del Territorio), Filologia moderna, Diseur (dipartimento Interdisciplinare di Studi europei) e Scienze umane, anche di diverse associazioni culturali e di servizio della città, come Romeo Prampolini, Lions Club, Archeoclub, Associazione Forense Liberi Avvocati, Kiwanis, finalizzando il tutto a sostegno di Amnesty International.

La partecipazione allo spettacolo prevede infatti la possibillità di fare un'offerta a favore di Amnesty International di 5 euro (studenti e anziani) e di 10 euro (adulti), direttamente presso il banchetto dell'associazione che sarà allestito al Monastero dei Benedettini nei giorni dello spettacolo, oppure rivolgendosi alle sedi delle associazioni che hanno aderito all'iniziativa.

Chi invece fosse interessato a partecipare senza donare il proprio contributo potrà comunque ritirare i biglietti nelle segreterie dei Dipartimenti che patrocinano l'iniziativa.


I vecchi e i giovani può considerarsi come una delle opere della grande maturità dell’autore in quanto inserisce in sé molti dei motivi cari a Luigi Pirandello, dai più recenti ai più antichi. Viene riproposto il tema del teatro nel teatro, già sperimentato in altre opere, come per esempio, Sei personaggi in cerca d’autore, oppure Questa sera si recita a soggetto.

Si torna insistentemente allo studio logico, psicologico e sociologico dei vari sentimenti e delle varie emozioni suscitate da parole di uso comune ma dalle valenze interpretative diverse. Termini come “onestà” e “verità” vengono messi in contrapposizione a quelli di “burla”, “caricatura”, “celebrità”. Torna anche la filosofia dello “spirito divino” che entra in noi per farsi “pupo”. Ma il pupo del Berretto a sonagli qua decade a “fantoccio”, in quanto creatura delle misere convenzioni degli uomini.

L’elemento storico in questa commedia si fa più manifesto che altrove, e ciò costituisce un’altra novità. Quest’opera viene concepita e scritta agli inizi degli anni Trenta, periodo in cui si manifestano tutti quei sintomi perversi di violenza singola e collettiva che, dopo l’affermazione dei regimi totalitari, espressione di moti nazionalistici, rivoluzionari e contro rivoluzionari, porterà alla guerra. Pirandello non vivrà abbastanza per viverla; ma la intuirà, la sentirà, l’avvertirà. La anticiperà nella descrizione della smodata megalomania delle classi dirigenti dispotiche e liberticide. La evidenzierà nella fanatica ed esaltata rivolta giovanile. La intuirà nell’attonito smarrimento dell’intellettuale impotente a cambiare il corso degli eventi.

Il canone familiare: uomo-donna-salotto amplia il proprio orizzonte; anche se lascia inalterato lo schema dell’ipocrita corda civile, della creativa corda pazza, dell’attenta e meditata corda seria. Ma non solo si amplia lo spazio orizzontale, si amplia e si estende anche il verticale scandaglio della profondità storica in relazione a quella filosofia dello spirito fortemente presente che, uscendo dell’hic et nunc, riesce ad esprimere la sua universalità andando oltre i limiti del tempo.
Quello che ora viene messo in luce è un conflitto più ricorrente ed eterno di quello fra marito e moglie, o di quello fra le classi dell’età industriale. Quello rappresentato nella presente opera è il conflitto fra le generazioni: “i vecchi ed i giovani”. Con questo titolo, Luigi Pirandello, aveva scritto e concepito molti anni prima un suo ponderoso romanzo storico, ove la dialettica vecchio-giovane era stata applicata alle vicende garibaldine relative all’annessione del Regno delle due Sicilie all’Italia. Per un esame accurato di tali vicende, il Nostro aveva fatto ricorso alle esperienze di famiglia, indagando gli aneliti rivoluzionari, le cocenti derisioni, il cinico trasformismo, il passaggio triste e decadente dalla gioventù alla vecchiaia – dal vivente e mutevole a ciò che è “fisso” e “scalpellato”.

Ma la dialettica giovane-vecchio non è solo fatto sociale o naturale, è soprattutto fattore umano, nella sua coscienzializzazione. L’autore vive questa esperienza in prima persona, altra rilevante originalità di questa commedia. Non è più giovane, ha compiuto sessant’anni, si interroga su quel confine. Cos’è la giovinezza? “Numero d’anni”, “prerogativa di spirito”? Non è giovinezza il reinventarsi, il “sapere esprimere” quello che in altri, anche se giovani, “si agita senza venire fuori”? Giovinezza è dunque immaginazione, creatività senza tempo e spazio. Anche l’uomo ormai arrivato ad una posizione sociale elevata, pieno di fama e di gloria, per vivere ancora deve inventarsi una seconda vita, rigenerarsi.

Il vecchio poeta, ormai famoso, ormai “qualcuno”, rivive nel giovane Delago, per non restare prigioniero né delle strumentalizzazioni: della famiglia (la prevaricazione possessiva ed isterica della moglie, l’infantilismo razzista ed invadente di Valentina, il paternalismo untuoso di Carlo, cameriere personale), né di quelle della società (l’affarismo cupido dell’editore Modoni, l’interessato ossequio della madre superiora), né di quelle dello stato (la megalomania del ministro Giaffredi), né quelle della tecnologia invadente e prevaricatrice che già agli inizi mostra tutte le sue perverse qualità di esproprio e di alienazione, mirate a far tacere il debole.

Le vie mediatiche audio-visive straripano e dilagano nella figura della giornalista-radiocronista, i cui nuovi mezzi di riproduzione alterano e costringono il vecchio ad un’esclusione prematura. Ma l’uomo, apparentemente cadente, malgrado “l’oscenità” e lo “stupore” di quel suo corpo in declino, se ha ancora “un cuore giovane e caldo” e se è capace di interpretare la vita con poesia, non resta schiacciato dalla monumentalità della forma.

Che il confine della giovinezza non sia segnato dall’età lo dimostra la facilità con cui anche la giovinezza può essere imbrigliata e strumentalizzata, schiavizzata dalla moda o dai regimi di turno. Giovinezza è quella enfatica e tornacontista di Pedro; giovinezza è quella del sarcasmo caustico e canzonatorio di Natascia; giovinezza è il giustizialismo dell’implacabile caricaturista; giovinezza è l’esaltazione rivoluzionaria della giovane-delaghiana; giovinezza è il coro di queste giovani donne arrabbiate, forse preludio all’incombente femminismo. Ma giovinezza è anche l’appassionato sentimento che lega due esseri antitetici, trovando in Verroccia, non solo una risonanza nominale, ma anche una “soave” fragrante realtà. Grazie a Verroccia, la cenere ormai fredda di un mutuo personaggio prende a fuoco, producendo “nuovi pensieri e nuovi sentimenti”. Con essi ci si può anche burlare dei maldestri suonatori della vita.

(03 giugno 2009)

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