Mercoledì 11 marzo alle 21 al Centro Culture Contemporanee Zo, per la sesta stagione di Fuoricircuito - il cineclub del Centro Culture Contemporanee Zo, realizzato con il sostegno e la collaborazione della facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania - sarà proiettato il film La rabbia di Pasolini di Giuseppe Bertolucci (Italia, 2008, italiano, 83' ipotesi di ricostruzione della versione originale del film).
1963: i cinegiornali Mondo Libero di Gastone Ferranti e i materiali reperiti in Cecoslovacchia, Unione Sovietica e Inghilterra diventano, per Pier Paolo Pasolini, la base per dare vita ad un'analisi lirica e polemica dei fenomeni e dei conflitti sociali e politici del mondo moderno, dalla Guerra Fredda al Miracolo economico, con un commento diviso fra una "voce in poesia" (Giorgio Bassani) ed una "voce in prosa" (Renato Guttuso). Mentre Pasolini è al lavoro in moviola, il produttore, forse per scrupoli politici o forse per motivazioni commerciali, decide di trasformare il film in un'opera a quattro mani, affidandone una parte a Giovannino Guareschi, secondo lo schema giornalistico del "visto da destra visto da sinistra". Pasolini reagisce con irritazione a quella coabitazione forzata, ma alla fine accetta e rinuncia alla prima parte del suo film per lasciare spazio all'episodio di Guareschi.
«In Italia, a differenza delle grandi borghesia europee, non ci sono arrabbiati, ribelli, beatniks. Ora, io credo che la prima ragione di questa mancanza di arrabbiati sia dovuta al fatto che in Italia c’è una piccola borghesia, e quindi, contro la borghesia non può esserci che una piccola rabbia; cioè soltanto le grandi borghesie industriali, come la borghesia di Parigi o di Stoccolma o di Londra, o di New York, possono suscitare casi quasi istituzionalizzati di rabbia, rilevanti. In Italia no, perché la borghesia è piccola e allora, direi per ragioni di proporzione, anche la rabbia contro la borghesia è provinciale, piccola, limitata. Però, c’è un’altra ragione ancora, che, secondo me, è più interessante. In Italia si è avuta la Resistenza che è un caso piuttosto unico in tutta Europa, cioè la Resistenza italiana è stata molto diversa dalla Resistenza francese, jugoslava, ecc. ecc.: la Resistenza italiana ha significato non soltanto la lotta contro lo straniero o contro il fascista, ma anche la revisione – diciamo così -, la rivolta, il rivoluzionamento di tutte le idee che gli italiani avevano su se stessi, sulla propria storia, almeno sulla storia contemporanea.
In fondo la Resistenza è stata una sorta di grande rabbia organizzata e fondata soprattutto sull’ideologia marxista. Allora, quando un giovane italiano, borghese naturalmente, ha delle critiche da fare, si rivolta contro la borghesia, in un certo senso trova già una strada aperta, la strada aperta dalla Resistenza. Non reinventa la propria rabbia, ma trova degli schemi di critica alla società, che sono stati preparati dalla Resistenza e dalla cultura marxista italiana.
Tuttavia, naturalmente, questi schemi sono invecchiati, come tutti gli schemi. Sono diventati, in un certo qual modo, ufficiali. E allora succede che appena in Italia c’è un arrabbiato, questi sente immediatamente il dovere di non essere arrabbiato, ma rivoluzionario. E essere rivoluzionario in Italia, in questo momento, significa assumere un’altra forma di moralismo. Cioè anche i comunisti rivoluzionari italiani, in questo momento, sono, tutto sommato, ancora dei borghesi o piccolo borghesi in doppio petto che, anziché avere alle loro spalle a rassicurarli i dogmi del cattolicesimo o del conformismo borghese, hanno i dogmi dell’ideologia marxista – questo in generale, naturalmente, ci sono dei casi… -
(Pier Paolo Pasolini, Da Pasolini l’enragè (1966), serie Cinéastes de notre temps, di Jean-André Fieschi)
(11 marzo 2009)