Sabato 14 marzo alle 21 da Scenario Pubblico proseguirà la rassegna teatrale Gesti, curata da Guglielmo Ferro, con la rappresentazione di Terra matta, novità assoluta dall'autobiografia di Vincenzo Rabito. Lo spettacolo, in scena fino al 5 aprile, è una produzione del Teatro Stabile di Catania, in collaborazione con TeSt. La regia è di Vincenzo Pirrotta. Gli interpreti sono: Vincenzo Pirrotta, Amalia Contarini , Marcello Montalto, Alessandro Romano.
«Descraziate siciliane terramatta». Così Vincenzo Rabito racconta e giudica l'Isola e gli isolani. Così ricorda con rabbia un infinito calvario di ingiustizie ed illusioni. Il cantoniere ragusano di Chiaramonte Gulfi, classe 1899, attraversa avventurosamente il Secolo Breve, ne porta evidenti i segni delle cicatrici. Spietata memoria, la sua, rivelata nei diari segreti redatti in un singolare miscuglio di italiano e dialetto, ennesima declinazione di lingua popolare, quasi reinventata elaborando negli anni, giorno dopo giorno, una parlata tanto improbabile quanto suggestiva, atavica, ancestrale, orale. L'unica possibile a lui, "inafabeto", ma irresistibilmente determinato ad uno sfogo che ferisce e commuove; confessione senza veli né menzogne, che l'amore del figlio Giovanni ha riportato alla luce in versione ridotta nel 1999. Ossia quattordici anni dopo la morte del padre (1981), sintetizzando la narrazione fluviale in un bestseller, intitolato appunto Terra matta.
Dall'opera pubblicata nel 2007 da Einaudi, il Teatro Stabile di Catania ha tratto l'omonima riduzione teatrale, una novità assoluta affidata all'adattamento, alla regia e all'interpretazione di un artista geniale come Vincenzo Pirrotta, straordinario cuntista e cantore della Sicilia, del suo splendore e dei suoi orrori, della sua storia illustre e del suo degrado.
Accanto a Pirrotta agiscono Amalia Contarini, Marcello Montalto, Alessandro Romano, Salvatore Lupo, Giovanni Parrinello, Mario Spolidoro, chiamati a far rivivere un crudo spaccato del Novecento narrato non dai vincitori ma dalle classi umili, dai perdenti, dai verghianamente vinti. Da quelli che affondavano e mai risalivano. Così Vincenzo Rabito dichiara di essersi sentito sempre «come la tartaruca, che stava arrevanto al traquardo», e tuttavia - confessa - «all'ultimo scalone cascavo».
Alla fine della maratona della vita, ecco che la rivalsa, il senso d'ogni sacrificio s'identificano per Rabito proprio nell'outing solitario ma liberatorio di fatti non sempre edificanti. "Se all'uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare». E l'ex bracciante siciliano si chiude a chiave nella sua stanza e ogni giorno, dal 1968 al 1975, senza dare spiegazioni a nessuno, stringe un patto ferro con una vecchia Olivetti. Macina, una dopo l'altra, 1027 pagine a interlinea zero, senza margine superiore né inferiore né laterale. Come ha notato la critica letteraria, capeggiata da Asor Rosa, il risultato è un'opera monumentale, forse la più straordinaria tra le scritture popolari mai apparse in Italia, "sia - è stato scritto - per la forza espressiva di questa lingua mescidata di italiano e siciliano, sia per il talento narrativo con cui Rabito è riuscito a restituire da una prospettiva assolutamente inedita più di mezzo secolo di storia d'Italia".
Una vera e propria epopea dei diseredati. La prospettiva di chi narra dal basso un'esistenza "guerreggiata", messa a dura prova nelle trincee della Grande Guerra, nella campagna d'Africa dove s'infrange il sogno fascista dell'impero coloniale, o sotto le bombe del secondo conflitto mondiale. Una vita segnata dalla fame atavica del Sud e devastata - sul versante privato - dal matrimonio corroso da una suocera terribile. Disagi non leniti neppure dall'improvviso benessere dal boom economico, la «bella ebica», che gli permette di garantire ai figli amatissimi una degna istruzione e un futuro di cui, come padre, va orgoglioso. Salvo a scegliere per sé il volontario confino domestico per affrancare l'anima in una testimonianza dal tragicomico, inarrestabile passo narrativo. E se l'autobiografia di Rabito, nel 2000 premio Pieve-Banca Toscana, è stata proposta al pubblico in versione ridotta ma esattamente come l'autore l'ha concepita, così il taglio drammatugico di Pirrotta restituisce fedelmente ai posteri la parola che il nostro antieroe ha scolpito, a fatica, nell'ultima privatissima battaglia della sua «maletratata e molto travagliata e molto desprezata» vita.
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(14 marzo 2009)