Sarà in scena al Teatro Musco dal 12 al 15 aprile lo spettacolo Sizwe Banzi est mort di Athold Fugard, John Kani e Winston Ntshona, messo in scena da Peter Brook.
Lo spettacolo sarà presentato e approfondito lunedì 14 aprile alle 10:30 al Monastero dei Benedettini, Coro di notte, nell’ambito di Doppia scena, il ciclo di incontri organizzati dallo Stabile in collaborazione con le facoltà di Lettere e filosofia e di Lingue e Letterature straniere. Parteciperanno all'incontro con gli studenti gli attori Habib Dembélé, Pitcho Womba Konga, mettendo in evidenza il tema del teatro della necessità fiorito nei ghetti neri in Sudafrica ai tempi dell' Apartheid. Coordinano la conversazione le studiose Loredana Pavone e Loredana Trovato.
Dopo aver portato per la prima volta a Catania il teatro di Peter Brook con lo spettacolo The Grand Inquisitor, programmato lo scorso gennaio, propone ora la messinscena di Sizwe Banzi est mort. Si tratta di un altro autentico evento, che consentirà al pubblico etneo un più consapevole e diretto approccio con quel teatro “primario” - in grado cioè di abbattere le differenze linguistiche e culturali - che costituisce la linea direttrice di uno dei maggiori registi viventi.
Scritta negli anni ’70 da tre sudafricani (il bianco drammaturgo afrikaans Athold Fugard e gli artisti di colore John Kani e Winston Ntshona), la pièce è un’esaltazione del teatro nato nei ghetti come catartica reazione all’apartheid. E suona oggi come implacabile denuncia di un passato violento e disumano.
Straordinari protagonisti di questa emblematica produzione del Centre International de Créations Théâtrales, fondato dallo stesso Brook a Parigi, sono gli attori Habib Dembélé e Pitcho Womba Konga, che parteciperanno anche all’approfondimento di “Doppia scena”. Il testo, corredato da sopratitoli in italiano, viene rappresentato nell’adattamento in lingua francese cesellato da Marie-Hélène Estienne, collaboratrice storica di Brook.
Tanti gli spunti di riflessione offerti dalla regia di Peter Brook che fa qui emergere, con maestria, la vitalità del teatro fiorito nelle township, le invivibili baraccopoli in cui erano segregati i negri. E crea uno spettacolo divertente ed emozionante che mette in luce, una volta di più, il potere comunicativo della semplicità. Peter Brook e la “necessità” del teatro: il suo confrontarsi con il “qui e ora” della rappresentazione trova perfetta rispondenza nel teatro delle townships, “riserve urbane” degli anni dell’apartheid.
«L’esperienza teatrale compiuta nelle bidonvilles sudafricane - ha dichiarato il regista - è un esempio prezioso di quanto l’‘immediato’ possa apportare al teatro. È un teatro nato dalla vita, dalla strada, in città che non sono come le altre, ma sono invece le townships, ghetti dell’apartheid».
Lo stesso spirito vitale si ritrova, anche se in un quadro di umiliazione e sofferenza, nel lavoro che narra i casi di Sizwe Banzi, di come abbia lasciato il suo villaggio, la moglie e quattro bambini, per raggiungere la città e cercare un avvenire migliore. Tuttavia, senza documenti di identità e senza un passato, in regime di apartheid significa non esistere. Prende vita così una vicenda dalle sfumature “pirandelliane”, che ha stimolato il britannico Brook, alla costante ricerca - appunto - di un teatro “primario", con creazioni che si distinguono per l’impeto iconoclasta e il respiro internazionale.
Sizwe Banzi est mort è la seconda delle tre pièce di denuncia che Fugard (sceneggiatore di Il suo nome è Tsotsi, Oscar 2006 per il miglior film straniero), ha creato insieme a Kani e Ntshona. Queste opere fanno parte di una più ampia raccolta conosciuta come Township plays (1958-1973), testi che si fondano sulla vita della comunità nera in Sudafrica. Il lavoro mostra il ruolo che può assumere il teatro in una situazione politica di repressione, ponendo l'attenzione su temi legati all’identità, all’umanità, alla verità e all’istinto di sopravvivenza.
(14 aprile 2008)