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Calusca in vasca | Behind the veil

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Venerdì 21 dicembre alle 20 nello spazio espositivo dello Showroom Casa Nova vernissage della personale di Calusca. Fino al 23 febbraio 2008, ingresso libero.

Venerdì 21 dicembre alle 20 lo Showroom Casa Nova (viale Jonio, 86)  presenterà, inaugurando il nuovo spazio espositivo, la mostra personale Calusca in Vasca | Behind the veil. La mostra presenterà quindici opere inedite, alcune appositamente realizzate dall’artista in serrato dialogo con il contesto. La mostra è visitabile fino al 23 febbraio 2008 ad ingresso libero.

L’autore, da poco celebrato con una antologica presso il Castello dei Principi di Biscari di Acate, ha infatti ideato l’intero progetto installativo all’interno dello spazio interagendo in modo sprezzante, a volte provocatorio, con gli oggetti ivi esposti e tramite un intervento diretto nella fase realizzativa d’arredo.

Calusca (Luca Scandura) è nato a Catania il 27 novembre 1975. Nel 1994 si trasferisce a Reggio Calabria per frequentare l’Università di Architettura che abbandonerà nel 1998 per dedicarsi pienamente alla pittura. Nel 2002 conosce il fotografo ungherese Zoltan Fazekas con il quale crea il gruppo CZ. Dal 1997 al 2007 a tenuto mostre personali e collettive ad Acireale, Catania, Randazzo, Taormina, Comiso, Acate, Modica, Ragusa, Bologna, Udine, Villa S. Giovanni, Artegna, S. Vito al Tagliamento, Palermo, Sharjah (UAE), Roma, Donnafugata (RG), Magliaso (Svizzera), Francavilla Al Mare (Chieti), Siracusa, Venezia. La sua produzione professionale si è anche indirizzata verso l’immagine grafica, la progettazione di ambienti, allestimenti, installazioni e l’immagine in movimento. Attualmente vive e lavora ad Acireale.

Icone e disincanto – Rapporto spazio / figure nella pittura di Calusca
«[…] Di fronte ai dipinti di questa mostra, la pittura di Calusca ci si presenta come ci è apparsa fin dal primo momento: con una sorprendente maturità di visione, di tocco e di energia che gli ha permesso, prima di imparare qualcosa da loro, di assimilare la lezione dei Maestri senza mettersi sulla scia di qualcuno di loro in particolare nel percorrere un itinerario non tanto alla ‘ricerca di sé’, quanto nel visibile – e in ciò che sembra stare ai margini del campo ottico: dove non c’è genealogia che tenga (genealogia anch’essa in fieri, peraltro: e che attende lumi almeno quanto può prestarsi a lumeggiare un processo creativo in atto). In modo tale che il rapporto di Calusca con i Maestri, senza sovrapposizione di codici, senza ‘angoscia dell’influenza’ in versione e in funzione delle arti visive, sembra configurare il rapporto che egli intrattiene col mondo nella sua pittura e d’altra parte, il rapporto cui la sua pittura costringe chi la osservi anche senza voler troppo approfondire fosse solo le suggestioni e sollecitazioni che è in grado di cogliervi: già oltre di sé, oltre lo sguardo che lega le sue figure e noi. […]Stando così le cose, ci si può sentire dispensati dal censirne i codici, dal declinarne gli indici: e a questa facoltà mi rimetto.
[…]Tecnica e stile, così dichiarati nei loro costrutti, sono in Calusca un dato di natura, l’effetto o la manifestazione di una sensibilità già formata e attiva in proprio, piuttosto che l’esito di un’istanza conoscitiva, di una sfida a se stesso o di una scelta cui sentirsi chiamati e obbligati – e così, indulgente con le ragioni che avoca. Il suo gesto costitutivo, il suo atto fondamentale è consustanziale alla natura (e ora, non prendiamocela con i cliché lessicali: e che il dio dei neologismi sia pietoso con me) del fare pittorico e dell’essere pittore: non si tratta di imitare e rifare la natura e neppure l’arte come qualunque altro oggetto di indagine o infatuazione visionaria, di oggettivare la pulsione di partenza, le ‘costanti di flusso’ o l’emozione che se ne può trarre come una morale fatta apposta per il nostro caso: non si tratta di rappresentare un mondo di cui, tanto perché lo si sappia, ci è noto, praticamente, tutto o tutto quello che ci occorre.
[…]E – sì, c’è un fondo di ostilità nella constatazione (in prima battuta, si può dire che Calusca si limiti a questo) che il mondo è così: se ne prenda atto senza rassegnarsi, educandosi alla disperazione quanto insegnandole a non approfittarsi delle opportunità che le sono offerte in così gran copia. Non è questo, insomma, che fa la qualità dello speciale modo di vedere con cui Calusca ci permette di accedere a realtà o a livelli di realtà che estranei (come è bene e anzi, come è meglio che sia), fuori dal raggio d’azione della nostra coscienza diurna, a uno stadio subliminale o ipnagogico, rimangono, rispetto all’esperienza o all’evidenza che ci pare degna di nota o perlomeno, di uno sguardo.
[…](Gli scenari sono sempre in interni: ma, stranamente, meno opprimenti, meno asfissianti e claustrofobici di quanto lascerebbe pensare l’angustia in cui li relega il raggio di una lampada e da cui li trae alla luce il colore: quasi si trattasse dell’enclave sfitta e rimossa o del modulo seriale di una piazza metafisica, di un suo avanzo inespiabile; e semmai, in queste stanze si scorgono o scoperchiano anditi, varchi, aperture, chiusure, rientranze, rigurgiti non meno urtanti delle reattive, resipiscenti convessità insieme a cui, innestate e incastrate le une alle altre, stipano e complicano quegli interni mettendone allo scoperto dinamiche introiettate ancora più profondamente. Comunque, tutto avviene al chiuso, come in una segreta necessariamente squallida o in una ridotta difensiva che coincide con una patria aliena e sbandata come un qualsiasi luogo di deportazione). Ancora, poltrone imbottite viste di profilo, con i braccioli mobili ripiegati come ali, chimere in fase di decollo o a atterraggio appena concluso, mentre la stoffa dai cromatismi dozzinali e profusi ne fa l’equivalente, in pinguedine fanciullescamente goffa e tuttavia, in sobria, ma solenne e perfino, profanamente ieratica gravità protagonistica, del ritratto di un cardinale: o nella stessa posa archetipica, la stessa compostezza impenetrabile e scostante di un principe del Rinascimento, altrettanto decorativo e fastosamente colorato di un arazzo.
[…] Ma a nessun teatro della crudeltà stiamo assistendo, proprio perché, trattando tutto come spazio, nessuna alterazione di dimensioni, di struttura o di proporzioni può costituire violenza. In una specie di mito della Medusa rovesciato, per cui lo sguardo trasforma in carne o residuo organico o calco somatico che lo adombra in tutto ciò su cui si posa, il corpo è dappertutto, come lo spazio […] Alla fine, rimaniamo esitanti: l’immagine non si lascia governare e decidere: se c’è in essa o piuttosto, se essa non esiga da noi non si sa quale attesa, atteggiamento, emozione, reazione: asettica osservazione o cruenta, non indolore, vendicativa analisi: e in una parola, cinismo, disgusto, disincanto, inquietudine, pietà. Certo, questa indisponibilità al dettato non è, però, un invito (l’ennesimo e inutile) a diffidare del mondo. Cos’è? Forse, Calusca non ce l’ha ancora detto: ma, forse, non è detto nemmeno che sia reticenza il silenzio e qualcosa occorra aggiungervi, chiosarne le cifre (di nuovo: cosa? La spinta, l’impulso, la volontà o la rinuncia da cui scaturisce questa pittura: il pensiero è sempre l’esito di un desiderio, secondo un rebbe dei nostri giorni; perciò ti cerco ogni giorno, tristezza, gli fa eco un altro saggio ebreo contemporaneo): qualcosa da cui principia l’arte, che, pertanto, non l’ha appreso dal mondo: della cui esistenza e memoria (e incanto, compitato delusione per delusione e senza lacrime), da essa apprendiamo.» (Rocco Giudice)

Per info: tel +39 095.7470135 /  www.showroomcasanova.it
orari 10.00–13.00 / 17.00–20.00; lunedì mattina e festivi chiuso

(21 dicembre 2007)

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