Mercoledì 14 novembre per la quinta stagione di Fuoricircuito, cineclub del centro culture contemporanee Zo realizzato in collaborazione con la facoltà di Lettere e filosofia, sarà proiettato alle 21 il film Mysterious Skin (Usa/Olanda, 2005) di Gregg Araki.
Basato sull'omonimo romanzo di Scott Heim, narra la vicenda di due bambini che diventano adulti. Li unisce un rito di passaggio misterioso, visto attraverso il loro sguardo sognante e incosciente che si trasforma man mano in paura e cinismo: la pedofilia in una prospettiva a-morale.
«Quando, nel 1995, ho avuto tra le mani il romanzo dell’esordiente Scott Heim, m’è sembrato il più bello, poetico e straordinariamente forte che avessi mai letto. Mi ha commosso fine alle lacrime, cosa che non mi era mai successa con un libro. Però, anche se mi ha commosso profondamente, era difficile immaginare un film tratto dal libro senza annacquare gli elementi più dark e trasgressivi – proprio quelli che sconvolgono e che rendono unico il romanzo. Solo dopo alcuni anni, dopo aver sperimentato tecniche di ripresa in soggettiva, ho finalmente trovato il modo in cui era possibile tradurre in linguaggio cinematografico l’inquietante complessità e l’inattesa eterea bellezza del libro. Ho scritto io stesso tutti i miei precedenti film e non mi interessava realizzarne uno scritto da altri. "Mysterious skin" è l'eccezione alla regola. Forse perché io e Scott veniamo dallo stesso ambiente e condividiamo il gusto per la musica ‘outsider’, ho sentito una grande vicinanza con i suoi personaggi e il loro mondo. Mi ha impressionato specialmente il modo in cui usa l'iconografia dell'infanzia, scegliendo quei dettagli quotidiani che tutti i figli di “borghesi” cresciuti nei suburbia riconoscono e sentono parte integrante di sè stessi. Nell’inquadrare questa storia lancinante attraverso gli occhi di un bambino, Scott rende l'esperienza di Brian e Neil universale, ne fornisce una percezione collettiva e non un’osservazione voyeuristica. Ci riconosciamo perché siamo cresciuti proprio in questo ambiente, a parte gli aspetti peggiori – se siamo stati fortunati. "Mysterious skin" evoca un’infanzia comune: Brian e Neil potrebbero essere noi.
In questo contesto diventa essenziale il punto di vista soggettivo nell’adattamento del libro a film. Ciò che rende questo dramma così sconvolgente è l'immediatezza e l'intimità della doppia prospettiva del racconto. Di qui il linguaggio filmico prevalentemente usato: la macchina da presa soggettiva, un largo utilizzo di primi piani e di campo e controcampo. Noi vediamo attraverso gli occhi di Brian e Neil e viviamo le loro esperienze nello stesso momento in cui le vivono loro. Anche più avanti nella storia, quando i ragazzi sono ormai adolescenti, la macchina da presa mantiene un infantile senso d'innocenza e meraviglia. Coerentemente a questa visione del mondo si percepisce un acuto senso di vulnerabilità, una mancanza di controllo. Una condizione, questa, che corrisponde perfettamente all'esperienza di stare seduti al buio a guardare un film.
L'uso della voce narrante, specialmente nella prima parte del film, serve a rafforzare questa condizione soggettiva, e ci permette di percepire ed elaborare gli eventi dal punto di visto di Brian e Neil. Il film presenta i personaggi solo con le voci mentre lo spettatore è immerso nel “grembo” dell’esperienza cinematografica. Questo crea sin dall’inizio un rapporto intimo e fiducioso. La voce narrante – insieme ad una serie di altre tecniche, dal montaggio al montaggio creativo, agli effetti di passaggio e al nero – permette di comprimere una grande quantità di materiale e di preservare lo svolgimento della storia. Dal momento che abbiamo la possibilità di accumulare sensazioni forti sulle storie di Brian e Neil, la nostra empatia nei loro confronti aumenta e gli eventi delle loro vite hanno una risonanza più viscerale. Il loro percorso emotivo nel tempo è diventato il nostro. Visto che ciò che più commuove nel libro è la sensazione di verità, vulnerabilità e totale onestà, trasformarlo in un film “carino” e facilmente digeribile avrebbe mancato completamente l’obiettivo. Sono proprio gli aspetti proibiti, scomodi e conturbanti del romanzo - cose che di solito non si vedono in un film - che mi hanno convinto che dovevo fare questo film. È risultata la più grande sfida creativa e l'esperienza più gratificante della mia carriera. Sono più eccitato da questo film di quanto non lo sia mai stato da tutti gli altri. Io vedo "Mysterious skin" come un’esperienza provocatoria, profondamente commovente e intensamente cinematografica. Straziante come "Boys don't cry", controversa come "Kids", inquietante come il David Lynch d’un tempo e splendidamente realizzata come "In the mood for love". Vorrei che questo film fosse capace di marchiare a fuoco la coscienza del pubblico, che facesse parlare la gente, la facesse pensare e la emozionasse a lungo. Un film da non dimenticare». (Gregg Araki)
(14 novembre 2007)