Dal 5 al 17 marzo, al Teatro Verga di Catania, per la Stagione del Teatro Stabile, va in scena “La scuola delle mogli” di Molière.
La versione italiana è di Giovanni Raboni, la regia di Marco Sciaccaluga. Con Eros Pagni, Alice Arcuri, Roberto Serpi, Roberto Alingheri, Mariangels Torres, Federico Vanni, Marco Avogadro, Massimo Cagnina, Pier Luigi Pasino. E' una produzione Teatro Stabile di Genova.
Diretto magistralmente dal regista Marco Sciaccaluga, l’attore ligure Eros Pagni è protagonista di un classico dalla trascinante vis comica come “La scuola della mogli”, in cui dà vita ad uno straordinario Arnolfo, ruolo che Molière aveva scritto per sé. In tre mesi di tournée nazionale, la nuova produzione ha raccolto ottimi consensi, a conferma della qualità che contraddistingue gli allestimenti dello Stabile di Genova, di cui Sciaccaluga è condirettore: una lunga serie di successi, in gran parte firmati dallo stesso Sciaccaluga e affidati al versatile estro di Pagni, autentica colonna del prestigioso ente teatrale.
“La scuola delle mogli” è un capolavoro di analisi psicologica e comportamentale. È sì la storia dell’amore impossibile di un uomo anziano per una ragazza che ha educato con il progetto di farne la moglie ideale. Ma è anche un inno alla libertà individuale, che mal sopporta i vincoli imposti dall’autoritarismo ideologico: lo stesso di cui si alimentano i vaneggiamenti pedagogici e matrimoniali di Arnolfo, il quale - spinto da radicale sfiducia nelle donne - è convinto sia meglio una moglie poco attraente e sciocca piuttosto che bella e intelligente.
Rappresentata per la prima volta nel 1662, “L’école des femmes” si rivelò subito di forte impatto. Tutta Parigi, con Luigi XIV e la famiglia reale in testa, accorse a vedere ed applaudire uno spettacolo che, impostosi per la magistrale drammaturgia e l’incalzante comicità, suscitò d’altro canto scandalo e furiose polemiche. I benpensanti accusarono l’autore di essere volgare e immorale, specie con riferimento all’ambiguo dialogo tra Arnolfo e Agnese al second’atto, ed ancor più per le “Massime del matrimonio”, assimilate ad una presa in giro delle “prediche” o a parodia dei Comandamenti. L’annosa “querelle”, mitigata solo in parte dal favore del Re, investì pesantemente anche la vita privata del commediografo, per i facili riferimenti al tormentato rapporto che lo legava alla giovane moglie Armande.
Sciaccaluga sposta l’ambientazione dal Seicento al primo Novecento. «Molière propone una piccola storia privata di provincia, attraverso la quale però sa far nascere l’immagine di un’umanità e di una società senza tempo, dove si alimenta l’illusione che catechismi, regolamenti, ideologie possano piegare la natura al loro programmatico volere. Ci è sembrato di leggere in ciò il rinvio a una realtà piccolo borghese. Con gli scenografi abbiamo fatto diversi tentativi, guardando agli ultimi due secoli prima di fissarci in quell’epoca specifica, non per precise ragioni critiche ma per una serie di suggestioni culturali, che in me hanno riguardato soprattutto certo cinema francese, in primo piano Chabrol, che forse meglio di ogni altro ha saputo dare spessore universale all’evocazione di un affresco provinciale».
Una scelta che esalta la forza deflagrante del testo. «Ciò che veramente mi interessava – conclude Sciaccaluga - è raccontare quella storia che Molière confina in un microcosmo avendo però la capacità di farlo esplodere, in modo da investire la realtà contemporanea, come spero possa accadere alla nostra scatola scenica, che rinvia a un universo in cui si sente il profumo di baguette e il suono della fisarmonica, ma anche a piccole cose di cattivo gusto, a segreti nascosti, a orchi in agguato, che cercano invano di condizionare lo sbocciare della natura».
(05 marzo 2013)