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A Santa Lucia

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Dal 27 febbraio al 10 marzo, al Teatro Ambasciatori di Catania, in scena omaggio alla Napoli di Raffaele Viviani

Dal 27 febbraio al 10 marzo, va in in scena al Teatro Ambasciatori di Catania, per la stagione del Teatro Stabile lo spettacolo A Santa Lucia, un omaggio alla Napoli di Raffaele Viviani.  Protagonista e regista Geppy Gleijeses che anima un vivido affresco del celebre quartiere partenopeo

I versi, prosa e musica sono di Raffaele Viviani, la regia di Geppy Gleijeses. Interpretano: Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli, Daniele Russo, Gigi De Luca, Gina Perna, Angela Di Matteo, Luciano D'Amico, Gino De Luca, Rino De Luca, Antonietta D'Angelo, Vincenzo Leto, Giusy Mellace. E' una produzione Teatro Quirino Vittorio Gassman, Teatro Stabile di Calabria.

Tutto e il colore e l'umanità di uno dei più celebri quartieri di Napoli, descritto come solo Raffaele Viviani sapeva fare. Il drammaturgo, poeta e compositore partenopeo firma versi e prosa ma anche la colonna sonora della commedia con musiche "A Santa Lucia", dopo settant'anni riportata finalmente in scena da Geppy Gleijeses.

"Santa Lucia Nova" - questo il titolo originario - è una pièce in due atti praticamente inedita: l'autore fu l'ultimo a metterla in scena nel 1943, insieme ad "Osteria di campagna". La vicenda si sviluppa nel 1919 al Borgo Marinari, sotto Castel dell'Ovo e, con precisione, al Ristorante Starita, in quell'incantevole specchio d'acqua che tutti conosciamo. Qui cocotte, puttane di medio bordo, nobiltà decaduta e sifilitica, morfinomani, eroinomani e ubriaconi, poeti in bolletta, vastasi di provincia sfruttati in città, s'incontrano e scontrano con i "luciani", i mitici abitanti del Quartiere di Santa Lucia, arrostiti dal sole, "nzuarati" dal mare, fermi nel tempo come lo scoglio, che vivono vendendo ostriche e spighe di grano arrostite, ma non la loro dignità, sempre dediti alla Santa adorata più di una Madonna.

Nelle note di regia, Geppy Gleijeses s'addentra nell'universo di un autore di cui si ricordano solo pochi titoli, mentre la sua ampia produzione attende di essere esplorata e valorizzata. «Ma Viviani - sottolinea - era conscio della grandezza e dell'universalità del suo teatro? Me lo sono sempre chiesto. Anche se la risposta è ovvia: no. E comunque non sapeva certo che la sua opera sarebbe diventata col tempo oggetto di culto. Viviani era analfabeta, aveva dinanzi a sé tabula rasa, ma era un genio. Capita così che - per inquadrare i suoi poveri numeri d'avanspettacolo, i suoi "tipi", in una cornice drammaturgica - egli si inventi esili fili conduttori, per lo più en plein air, privilegiando il sottoproletariato. "A Santa Lucia" è uno di questi capolavori di strada».

Quella che descrive è una Napoli postbellica, piagata e impoverita, ma è anche la Napoli del Cafè-Chantant, del primo Varietà, dell'Avanspettacolo. Una mondana d'alto bordo e un barcaiolo s'incontrano, si piacciono, forse s'innamorano. Ma no, questo non gli è concesso. «Le classi sociali - conclude Gleijeses - non sono permeabili e l'amore è un lieto fine che Viviani non si concede. Le sue sono risate amare, sguardi pietosi, graffi rabbiosi. Viviani non è mai consolatorio. Abbiamo cercato di interpretarlo perché, vivaddio, almeno lui non si può imitare e comunque non avrebbe gradito. Bisogna pensarlo oggi, nella sua straordinaria attualità».

(27 febbraio 2013)

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