Una precisa scelta culturale è alla base della messinscena di un’opera come
Il vitalizio di Pirandello, che Andrea Camilleri ha felicemente adattato per il teatro dalla novella dell’autore agrigentino. In programmazione al Verga
dal 5 al 24 giugno, la produzione del Teatro Stabile di Catania è firmata per la regia da Walter Manfrè, per le scene da Giuseppe Andolfo; per i costumi di Francesca Cannavò; per le musiche originali da Carlo Muratori, per le luci da Renzo Di Chio.
Lo spettacolo può contare su un protagonista d’eccezione e beniamino del pubblico come
Riccardo Garrone, qui affiancato da un ampio cast che annovera Franz Cantalupo, Romana Cardile, Valentina Ferrante, Barbara Gallo, Daniele Gonciaruk, Massimo Leggio, Raniela Ragonese, Giampaolo Romania, Giuseppe Scarcella, Adele Tirante, Nella Tirante, Donatella Venuti.
Preme qui sottolineare il senso dell’operazione che vuole essere un ulteriore invito a pescare dentro l’ampio mare della narrativa isolana per trarne nuovi possibili modelli di validissima drammaturgia. Del resto
Il vitalizio è già teatro. Così come sono teatro tante altre novelle pirandelliane e tanti altri romanzi che nel tempo potrebbero trovare una forma di maggiore diffusione se elaborati sotto forma drammaturgica. In questo caso il connubio Pirandello-Camilleri offre la possibilità di seguire la sotterranea matrice fatta di umori e di umorismo che consente alla letteratura siciliana - anche attraverso autori quali Brancati, Vittorini e Sciascia - di qualificarsi fra le più alte del panorama europeo del ’900. E con grazia ed ironia Camilleri affonda la penna dentro la scrittura pirandelliana, fonte alla quale egli si è nutrito. Ed ecco trasposto sulla scena un racconto straordinario per la capacità di esprimere tematiche esistenziali sotto una forma leggera, divertita e malinconica.
II ricco commerciante di stoffe, Michelangelo Scinè, con negozio sul corso di Agrigento, spinto anche dalla avidità della moglie, vuole diventare proprietario terriero acquisendo terreni su terreni. Non volendo però cacciare molti quattrini, escogita il metodo di individuare i piccoli, poveri, proprietari delle masserie della zona che, per motivi anagrafici e di salute, sembrino avere pochi giorni ormai da vivere. Propone loro il versamento di un vitalizio che egli verserà nelle loro mani, sotto tutela del notaio Nocio Zagara, ogni mese, fino alla fine dei loro giorni.Come contropartita, essi dovranno abbandonare la loro terra e cederla subito, all'atto del contratto, a lui. Se vivranno a lungo, Michelangelo Scinè rischierà di pagare quella terra forse più del suo valore reale ma se essi morranno presto, come tutto lascia presagire, egli avrà pagato per quella stessa terra poco più che una miseria. Il primo a cedere è il vecchio Ciuzzo Pace. Cede la sua terra in cambio del vitalizio ma dopo qualche mese poveraccio, muore. Spinto dall'avidità, Scinè scopre che il terreno accanto a quello di Ciuzzo Pace appartiene al vecchio possidente Maràbito, al quale egli propone lo stesso contratto.
E Maràbito accetta. Con dolore, perché egli ama ogni zolla della sua terra, ogni piuma di ogni uccello che vola su quel terreno, ma accetta. Ma Maràbito non muore: passano i giorni i mesi, gli anni. Non muore. Sopravvive alle angherie di Scinè, della moglie di lui, del notaio Zagara, di tutti coloro che, nell'intrecciarsi della storia, tentano di mettere le mani sulla sua terra. E tutti costoro egli vede morire, uno dietro l'altro. Alla fine, quando Maràbito avrà compiuto più di cento anni, non sarà ancora morto. Ed a lei, alla Morte, egli si rivolgerà, chiamandola. Ma Lei non ne vorrà sentire donandogli, forse, una non richiesta eternità. Una favola emblematica, gioiosa, ironica, paradossale, allusiva. Uno spettacolo dove la logica malinconica di Pirandello, attraversata dalla intelligente ironia di Camilleri, può raggiungere vertici di autentico godimento. Anche per l'anima.(24 giugno 2007)
HANNO SCRITTO