Venerdì 29 aprile alle 21, negli spazi dell'Otium di Vittoria (Via Cavour, 29 - Rg), Nextl'ink presenta la mostra Isole di Giuseppe Tomasello. La mostra, a ingresso libero, sarà visitabile fino al 2 giugno.
Se, a un primo sguardo, scorgiamo un equilibrio che sembra generato da un rapporto tra forze, così che l’elemento in cui agiscono potrebbe essere etereo o liquido, atmosfera o amnio, sorprende, poi, a osservarle attentamente, quanto di evocativo possa scaturire da queste opere di Giuseppe Tomasello. Segni e colori, che non sono associati a comporre una forma, allineano rizomi aerei, crisalidi anelanti, torri fissate a rampe come esemplari di un’araldica celeste o zoomorfa, spore eruttate o prese dai tenui e indomiti filamenti come dalle orbite lungo cui procedono o scivolano. Equilibrio, dunque, di superfici cromatiche in cui i segni inscrivono strutture potenziali o subliminali e algore di immagini senza figure rimandano a precedenti (trovateli voi, se si va) per andare, poi, oltre di loro, isole anch’essi, come questi arcipelaghi siderei e costellazioni molecolari, sempre facce dello stesso universo che esige di essere tenuto un po’ più in considerazione nelle nostre celebrazioni e invettive. Bianco, nero, azzurro, viola, rosso, ocra, giallo si intrecciano e compenetrano come le linee che li attraversano in esili connessioni, in mobili tessiture dove un colore si sovrappone o si esime da uno sfondo cui presta i suoi spessori senza vibrarne, senza risonanze. I colori contengono in sé, nelle loro gradazioni e nella variabilità degli effetti legati alla consistenza, al loro statuto materico, di volta in volta, fibroso o fluido, scabro o uniforme, le dimensioni che definiscono lo spazio. Scavati, incisi, plasmati per ritrovare in essi la natura di segno come i grafismi sembrano rifletterne la maggiore o minore intensità senza aderirvi o filtrandone l’energia che vi circola in una continuità fissata alle sequenze di una fuga dallo spazio. È perciò che le linee non afferiscono a geometrie subsidenti, ma sono parte attiva delle masse cromatiche, ne determinano o condividono – più che segnarne i limiti di azione e di valore – gli attriti di fondo e le dinamiche costanti. Piuttosto, linee e colori sono leggibili come le linee del destino su una mano – quella che li ha disposti in un ordine che non li distingue, se non a cose fatte (per l’occhio). Li si percorre risalendo genealogie così minute, un così remoto prologo, che nulla potrà sortirne, colori e segni che non apparterranno ai sensi che li rilevano in un particolare o in un paesaggio – come una flagranza che è, innanzi tutto, tattile, più che visiva, che è della densità del colore, prima che un dato cromatico. D’altra parte: dal tracciato è possibile ritrovare, se non la meta o l’avvio, direzioni e diversioni; dalla compattezza del tratto sarà riconoscibile la forza dell’impulso o del rigore che lo controlla; dal tocco con cui è calibrato, dalla stesura, insomma, si può risalire al gesto: ma il segno rimane oltre la dimensione della figura o dà rilievo di figura a un punto di fusione dei colori caldi o di condensazione dei freddi – con quanta eleganza accostati. Giuseppe Tomasello è attento, perciò, a cogliere le cadenze, a assecondare i ritmi che aggregano nello scenario della tela – come dal fondo della coscienza (nel caso la tela non fosse sufficiente), bensì senza proiezioni estenuanti e ripiegamenti effusivi. Sarà chiaro, allora, che una così rigorosa elaborazione presuppone o richiama emozioni ‘di base’ o che aspettano di manifestarsi a qualche altezza posta a distanze che non sono fatte di spazio, ferma a prossimità che non vivono delle tensioni che, semmai, animano; ma sono il risultato del gesto pittorico che apre lo spazio nell’atto di porlo oltre le misure percettive sperimentate e che, perciò rifiuta ogni analogia. E queste isole, nei loro contorni e configurazioni, sussistono come luoghi, sebbene non codificati né reperibili altrove, punti nodali attraverso cui filtra o condensa un vuoto, uno spazio che agisce da cesura degli equilibri che lo attraversano. (Rocco Giudice)
(29 aprile 2011)