Da mercoledì 20 a giovedì 28 aprile, al Teatro Musco di Catania, andrà in scena Mi chiamo Antonino Calderone di Dacia Maraini, tratto da Gli uomini del disonore di Pino Arlacchi. Interpreta e dirige Pino Caruso. E' una produzione Teatro Stabile di Catania - Teatro Biondo Stabile di Palermo.
Per gli spettacoli del 21 e del 26 aprile, offerta biglietto per studenti universitari: € 8,00
Un assassino può suscitare simpatia? A volte sì, se assistiamo alla sua trasformazione, se seguiamo da vicino il travaglio che lo abita e lo riempie di dolore. Quest’uomo è Antonino Calderone, mafioso appartenente alla famiglia catanese, sopraffatto dalla violenza e dalla rapacità dei corleonesi che, a furia di brutalità cieca e delitti spietati, hanno preso in mano la criminalità organizzata siciliana. Calderone ha raccontato la sua vita a Pino Arlacchi che ne ha fatto un libro. E io ho raccontato a mia volta, in forma teatrale, la storia di quest’uomo dalla vita avventurosa e difficile, inseguito dalla vendetta. Un uomo mite, non portato per carattere ai delitti, ma pur trascinato dalla storia familiare e dall’intimità col fratello, mafioso di rango, a pungersi il dito e accendere col fiammifero la famosa immaginetta della Madonna. Un uomo costretto a fare sue le regole dell’omertà e del terrore, fino al punto da partecipare all’uccisione di tre bambini che avevano assistito senza saperlo all’assassinio di un “ribelle”. Forse sono proprio quei bambini a fare nascere un barlume di indignazione in un cuore incallito. Fatto sta che da quel momento Antonino Calderone comincia a tenersi da parte, a chiudersi in casa, a rifiutare la partecipazione attiva alle imprese della mafia. E infine, dopo l’omicidio del fratello deciderà di fuggire all’estero. Dove comunque non avrà pace, fra i sospetti della polizia internazionale, le vecchie denuncie che tornano attive, la vendetta dei corleonesi che continua a gravare sulla sua testa. Il racconto che ci fa il mafioso pentito certo pecca di reticenze, di deformazioni, di aggiustamenti di punti di vista. Ma il fondo è sincero e lo si capisce dal tono delle verità che racconta. Calderone, palesemente semplice nella sua implicita complicazione, ci rivela piano piano se stesso, le ombre che premono sulla sua coscienza. La cosa sorprendente è che tutto, alla fine, contribuisce alla formazione di un giudizio obiettivo sulla mafia. E il giudizio personale, intimo, non può non trasformarsi in una larvale ma schietta consapevolezza culturale. È ciò che vorremmo accadesse a un popolo, quello italiano, ancora troppo prigioniero dalla filosofia del “tanto non cambierà mai niente”. (Dacia Maraini)
(20 aprile 2011)