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La grande Catania, la nobiltà virtuosa, la borghesia operosa

Sabato 22 gennaio alle 17, nella Sala Vaccarini delle Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero, presentazione del volume a cura di Enrico Iachello

Sabato 22 gennaio alle 17, nella Sala Vaccarini delle Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero, si svolge la presentazione del volume La grande Catania, la nobiltà virtuosa, la borghesia operosa (Domenico Sanfilippo Editore), a cura del preside della facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania, Enrico Iachello.

A discuterne con il curatore saranno i docenti Fausto Carmelo Nigrelli (Università di Catania) e Gino Salvemini (Università di Bari).

Il volume è il terzo della collana dedicata alla storia della città su progetto di Giuseppe Giarrizzo e Maurice Aymard. Il primo è stato curato proprio dai due accademici, il secondo, dalla storica Lina Scalisi, mentre il terzo e il quarto (ancora in lavorazione) sono curati dal preside Iachello (ogni volume ha come allegato un dvd rom, realizzato dal laboratorio multimediale la.mu.s.a.).

In particolare, il volume intitolato "La grande Catania. La nobiltà virtuosa, la borghesia operosa" copre gli anni dal 1693 (la ricostruzione dopo il terremoto) all'Unità d'Italia.



Nel 1847 la guida di Catania di Francesco Paternò Castello, propose la costituzione di una “amministrazione straordinaria” garantita dalla tesoreria comunale, composta “da abili e onesti ed intelligenti individui con poteri estesissimi” per costituire un “monte di prestanza”, ovvero una sorta di società per azioni capace di moltiplicare il suo capitale per investimenti attraverso l’emissione di fedi di credito.

 

Enrico Iachello ne parla come di una banca pubblica di credito per il “decoro urbano”, una sorta di istituto per lo sviluppo, al cui centro di interesse vi era il completamento degli edifici incompiuti e la liberazione delle piazze storiche dal commercio rumoroso e maleodorante di alimenti esposti al pubblico. A metà Ottocento Catania aveva consolidato la sua posizione nel Gran tour delle città europee ed era animata da cultura e tensione politica nazionale. Tale posizione e identità erano cresciute nel corso del Settecento, radicandosi e maturando durante la lunga ricostruzione seguita al drammatico terremoto del 1693, una catastrofe naturale che aveva ucciso oltre metà dei suoi cittadini e distrutto o gravemente danneggiato la gran parte degli edifici religiosi e civili. Da allora, in ondate e con forme diverse, i ceti alti della città, erano riusciti a compiere una sorta di “mobilitazione” dei saperi e delle competenze, rivelando una disponibilità inimmaginata di risorse finanziarie soggettive e una capacità imprenditoriale straordinaria in rapporto alle dinamiche del mercato mobiliare e del settore delle costruzioni edili.

«La Provvidenza aveva offerto alla città l’occasione storica per far grande Catania, attraverso il capovolgimento in bene permanente di un momentaneo, imprevisto, e imprevedibile disastro di natura», scrive insieme ad Arianna Rotondo la storica Lina Scalisi nel saggio introduttivo alla prima parte del volume riguardante il primo Settecento. “Fare grande Catania”, fu il segno del movimento spontaneo ma sorprendentemente uniforme dei diversi protagonisti della prima ricostruzione, l’aristocrazia, il clero, la borghesia, ciascuno dal suo ambito di interessi e di gusto, movimento in cui il dispiegarsi e il modificarsi del gusto, il suo farsi dovere pubblico, non ebbe come movente tanto la causa dell’estetica, quanto la consapevolezza del valore economico e politico dell’estetica e della cultura. La visibilità “europea” della città con le sue forme urbanistiche e architettoniche, con i linguaggi della sua pittura, del suo teatro, della sua musica, la precoce tensione della lingua dal dialetto verso l’italiano, testimoniavano secondo Enrico Iachello l’impegno di “una aristocrazia virtuosa e di una borghesia operosa”, consegnando al secolo della unificazione nazionale una eredità degna di futuro, a sua volta denso di ambizioni. 

In definitiva, il volume parla certo di una storia lontanissima, ma ci avvicina in modo sorprendente al valore civile, economico e politico della costruzione e dell’uso del “decoro urbano”.

(22 gennaio 2011)

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