Fino al 16 febbraio, in occasione dell’apertura del nuovo anno programmatico, la
Galleria degli Archi di Comiso ospiterà presso i propri spazi una selezione di opere dell’artista siciliano
Calusca dal titolo
Selection, a cura di Mercedes Auteri.
La mostra comprenderà una raccolta di circa 45 opere realizzate tra il 2004 ed il 2006 sia ad inchiostro su carta che a tecnica mista su tavola ed incentrate su due dei temi cari all’autore, ossia le indagini sull’attuale società che Calusca realizza attraverso i suoi “Man/chair” ed irrequieti “Simopatici”. In tale occasione verrà realizzata una brochure con un testo di Mercedes Auteri.
La linea d'ombra: una confessione, il titolo di uno dei più potenti romanzi del secolo scorso, scritto da Joseph Conrad, potrebbe essere il sottotitolo di questa nuova mostra di Calusca. Quelle pagine come queste opere narrano un limite, indefinibile, inafferrabile, inquietante, che per tutti, a un certo punto, segna in modo irrevocabile la fine della giovinezza. Così, i protagonisti di queste storie decidono di prendersi delle responsabilità, nel viaggio verso la maturità, di confessarsi in prima persona. La Figura nell’ombra (tecnica mista su carta fotografica, 2004) ci guarda, con l’occhio che gli rimane, le braccia incrociate su una immaginaria spalliera di sedia girata, come nei film durante gli interrogatori della polizia, per cominciare il suo racconto. Il confine tra ciò che è stato, che non è più e svanisce risucchiato dal tempo, e ciò che rimane e continua: è là dentro. Quella è la linea, la linea d’ombra, nel segno del nero che esalta il bianco per contrasto, nel terrore, nella meraviglia, nella sconfitta, nella gioia, dentro molti degli inchiostri, dei monotipi, dei pastelli su carta fotografica e dei due oli su tavola, Man/chair – M.G. with five white buttons e V52 - il complesso di Eureka, qui esposti. Eureka! è l’urlo di un’intuizione che diventa scoperta e i cinque bottoni sono tutto quello che resta dell’uomo in camicia. Sembrerebbero fantasmi come alcuni personaggi di Conrad ma, questi come quelli, non lo sono. Lo scrittore sosteneva che “ci sono misteri e meraviglie a sufficienza nel mondo reale per andare a scomodare le follie del soprannaturale” e, come il pittore, lo dimostrava con l’inchiostro. Gli inchiostri, che un tempo erano uso esclusivo dei letterati, ancora di più in pittura richiedono una tecnica precisa che non concede correzioni. Anche i monotipi, stampe in esemplare unico realizzate su una lastra e poi impresse su carta, presuppongono una grande padronanza del gesto e pochi ripensamenti. Il colore premuto può spandersi in maniera non del tutto prevedibile e l’immagine non corrisponde esattamente a quella originaria, risulta capovolta come nell'incisione. Immagine capovolta come allo specchio. Immagine che è riflessione dell’artista. Proprio in uno specchio, che sembra il cubo di una televisione, si riflette un narciso dell’ultima generazione, dopo tutti i suoi predecessori illustri che, dentro pozze d’acqua limpida, prima di lui, si ritrovavano infelici, capaci d’amare solo se stessi (Narciso, tecnica mista su carta fotografica, 2004). Già i pionieri della fotografia avevano usato la foto al servizio della pittura, allo stesso modo Calusca interviene trasformandola in immagine pittorica, introducendo il colore rosso che in alcuni casi investe in uno schianto il bianco/nero. La Storia dell’Arte è fatta di grandi, grandissimi, debiti. E il modo migliore per pagarli, forse, è riconoscerli. Gli uomini in camicia bianca e cravatta nera di Calusca, gli omologati impiegati modello, gli inquietanti uomini di chiesa, i visi scomposti, le bocche urlanti, le nudità della carne, le sedie a scomparsa... non esisterebbero senza Francis Bacon. Così, la scomposizione dei volti di Bacon non esisterebbe senza le deformazioni cubiste di Picasso e nemmeno queste sarebbero state le stesse senza le maschere tribali arrivate in Europa dall’Africa. Certo è che ognuno di questi viaggi ci riporta a noi stessi e al cuore di tenebra dell’umanità. L’umanità sfocata, dilatata, trasfigurata, formalmente e psicologicamente, giunta ai nostri giorni e raccontata, come in confessione, da un Calusca più maturo. E, valicata la linea d’ombra, Conrad ci soccorre di nuovo, con un altro dei suoi racconti, Il nero del Narciso (che è anche il nome della barca con cui si recò a Bombay, oltre che il titolo di una delle opere più significative di questa mostra): l’artista cerca “di farvi ascoltare, di farvi sentire... ma prima di tutto di farvi vedere. Questo è tutto, e nulla più”. Se ci riuscirà, “troverete qui, secondo i vostri desideri: incoraggiamento, consolazione, paura, fascino - tutto quello che domandate - e, forse, anche quello scorcio di verità che avete dimenticato di chiedere”. (Mercedes Auteri)
(04 gennaio 2010)