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Troppu trafficu ppi nenti

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In scena fino a domenica 12 luglio al Palazzo Platamone una produzione del Teatro Stabile scritta da Andrea Camilleri

Andrà in scena fino a domenica 12 luglio al Palazzo Platamone Troppu trafficu ppi nenti di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, nell'ambito della rassegna teatrale Estatestabile. La regia è di Giuseppe Dipasquale; le musiche di Massimiliano Pace. Interpretano: Gian Paolo Poddighe, Pietro Montandon, Angelo Tosto, Alessandra Costanzo, Mimmo Mignemi, Filippo Brazzaventre, Valeria Contadino, Toni Lo Presti, Plinio Milazzo, Raniela Ragonese, Chiara Seminara, Sergio Seminara, Riccardo Maria Tarci, Aldo Toscano, Giovanni Vasta. La produzione è del Teatro Stabile di Catania

Michele Agnolo (o Michelangelo) Florio (Scrollalanza dal lato materno), nato probabilmente nel 1564, di origine quacquera, visse parte della sua vita, sfuggendo alle persecuzioni religiose, approdando via via nelle isole Eolie, a Messina, a Venezia, a Verona, e infine in Inghilterra, prima a Stratford on Avon e quindi a Londra. Fu autore di molte tragedie e commedie ambientate nei luoghi suddetti, che dimostrava di ben conoscere, così come dimostrava di ben conoscere la lingua italiana ed il teatro italiano, nonché di avere una buona dimestichezza con la scena italiana. Alcune sue opere rinvenute sembrano essere la versione originaria di altre ben note opere attribuite a Shakespeare, come Troppu trafficu ppi nenti, scritta in messinese, che potrebbe essere l’originale di Molto rumore per nulla di Shakespeare, apparsa cinquant’anni dopo. Fuggendo con la famiglia, Florio si trovò a vivere per un certo periodo a Venezia, ove pare che un suo vicino di casa, moro, uccidesse per gelosia la propria moglie. Su ispirazione di questa storia scrisse una tragedia, così come Shakespeare scrisse successivamente Otello. Sempre fuggendo per la persecuzione religiosa, arrivò a Stratford, ove fu ospite di un oste guitto e ubriacone, forse parente della madre, che lo prese a benvolere come figlio, soprattutto perché gli ricordava il proprio figlio, William, che era morto. L’oste prese a chiamarlo affettuosamente con quel nome. A questo punto bastava tradurre in inglese il cognome della madre (da “Scrolla lanza” o “scrolla la lancia” in “shake the speare” o “shake speare”) ed ecco il nuovo cognome “Shakespeare”. Nasce così William Shakespeare, non più perseguibile come quacquero fuggiasco, ma costretto a tenere il mistero sulla sua vera identità e le sue origini. Forse l’oste suo parente era già uno “Scrollalanza” che aveva tradotto il suo cognome, per cui il compianto figlio già si era chiamato William Shakespeare. Nelle ricostruzioni biografiche successive il grande drammaturgo verrà ritenuto essere il terzo degli otto figli di John Shakespeare. Venuto improvvisamente dal nulla, senza luogo né data di nascita, ed impostosi prepotentemente, soprattutto a Londra, alla ribalta quale drammaturgo ed attore, genera presto curiosità e scalpore, che lo inducono ad accentuare il mistero, per non essere scoperto dai suoi persecutori. Questa la teoria sostenuta da alcuni eminenti studiosi. E se davvero Shakespeare fosse siciliano? Pertanto immaginiamo una Messina in mezzo al mediterraneo così come Shakespeare se la poteva immaginare: esotica, viva, crocevia di magheggi, che avrebbero fatto di una festa nuziale il complicato intreccio per una giostra degli intrichi. Immaginiamola seguendo con le orecchie la parlata di quei personaggi che nel vivo di un dialetto carico di umori e ambiguità, dipana le trame di una vicenda originariamente semplice, ma dai risvolti complicatissimi. Immaginiamo che tutto ciò sia il frutto di un carattere tipicamente mediterraneo, se non pro- priamente siciliano, ed ecco che potremo anche credere, anche solo per una volta, che William Shakespeare, di Stratford, sia potuto essere quel tale Michele Angelo Florio Crollalanza parti- to in fuga da Messina. Poiché non c’è nulla di più meravigliosamente siciliano che il potere complicare, da un dato semplice, una vicenda fino a farla diventare surreale. Troppu trafficu ppi nenti è il modello eterno di un carattere terribilmente sem plice, come quello siciliano, che ama complicarsi l’esistenza in un continuo arrovugliarsi su se stesso. Il trafficu diventa articolato e contorto giuoco di corte, di cortiglio, di umori e affari d’amore che riempiono l’anamorfico esorcismo del tempo nei confronti della cupio dissolvi. Ma questo intrigo è figlio dell’inganno, che celebra ogni istante del suo esaltante incedere all’interno dei cuori degli innocenti ( vedi Eru e Claudiu). La cui innocenza è fata salva nel chiuso della propria solitaria fanciullezza, ma si perde di fronte alla responsabilità di amarsi. E’ un giuoco dell’anti-amore che Shakespeare/Crollalanza vuole raccontarci. E’ un giuoco di un mondo che qui noi vogliamo raccontare. Un mondo collocato nell’esotico del tempo senza storia, nell’esotico di una storia senza luogo: Messina appollaiata nel meridiano di Bagdad, con il suo crocevia di contaminazioni. In questo mondo amori e disfide si trafficano tra una guerra e l’altra. Facendo e disfacendo anime e onori come si intrecciano i passi di un sirtaki esercitato. Questo mondo permette tutto: amore, che diventa, col cambio di luce della verità (una luna malefica che svela una Eru, non Eru, sul balcone a tradire Claudiu), inimicizia e odio. L’ amicizia che si gioca nell’inganno di due amici amanti (Biatrici e Binidittu) che si ritrovano amanti per uno scherzo goliardico della loro corte. Una morte che non è morte, ma che diventa tale agli occhi di un novello Admeto, che può riamare la sua Eru, solo a patto di vederla altra da quella che egli credeva fosse. Un mondo, insomma, il mondo insomma! Solo dentro questo continuo cambio di orizzonte, solo dentro questo continuo cambio di regole si può definire la vita: quella che noi perseguiamo, ma non è mai; quella che noi viviamo senza mai perseguirla. Un trafficu perpetuo che ci conduce eternamente al nenti.

(01 luglio 2009)

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