Mercoledì 1 luglio alle 19 al Palazzo della Gancia, Ortigia (Siracusa) si inaugura Ars e/o Te, mostra d'arte di Agatino Raciti. La mostra, a ingresso libero, sarà visitabile fino al 13 luglio.
Agatino Raciti presenta un nuovo ciclo di opere, profondamente diverse da quelle realizzate in precedenza. Mentre in passato indagava su di un’immagine ambivalente attraverso la deformazione del corpo che spinge lo spettatore a percepire con immediatezza la forza delle pulsioni interne mantenendo riconoscibili i caratteri esteriori (provocatoriamente sensuali), oggi nei suoi dipinti emergono nuovi elementi sintetici ed essenziali. Il corpo dialoga con se stesso inseguendo il mito dell’effimero visto metaforicamente attraverso la trasposizione contemporanea di Megèra, personificazione femminile della vendetta. La Furia invisibile, la Divinità ctonia, l’invidiosa, la demoniaca abitatrice degli inferi, la madre del rancore e della vendetta, la figlia della notte e genio alato diventa ora simbolo della complessità della nostra anima capace di indurre comportamenti apparentemente osceni ma in realtà espressione di profonde esigenze interiori ed emotive.
Il mito delle Furie risulta consono ai temi dei quadri di Agatino Raciti in quanto queste figure mitologiche, portatrici di odio e distruzione, riescono a diventare Eumenidi, ossia benevole, nel giudizio nei confronti di Oreste e di Alcmeòne, riunendo in tal modo in se il bene ed il male. Il loro alito e la loro traspirazione erano insopportabili, dai loro occhi calava una bava velenosa, la loro voce somigliava talvolta al muggito dei buoi, perlopiù si avvicinavano abbaiando, perché non meno di Ecate anch’esse erano cagne. E come cagne adirate inseguivano tutti coloro che non avevano osservato la consanguineità e l’ordinamento gerarchico che ne deriva (“mourning Clitemnestra”) il quadro della madre dolente rappresenta proprio i valori familiari difesi dalle furie, persecutrici e giudici di Oreste, assassino della madre Clitemnestra e l’amante della stessa Egisto.
Le Erinni, vengono rappresentate attraverso un provocatorio ingrandimento delle loro bocche per trasmettere quell’intensità delle passioni che sta alla base dei nostri comportamenti più veri, impulsivamente indirizzati appunto sia verso il bene che verso il maligno. La bocca diventa varco corporeo attraverso il quale esprimiamo le nostre emozioni sia verbalmente che fisicamente. La Megéra, concettualmente pop, è ispirata dall´opera video-fotografica dei due artisti statunitensi Richardson e Viola.
L’opera di Raciti ci riporta dunque alle Erinni, facendoci prendere consapevolezza del fatto che non vorremmo incontrarle mai ma che in realtà sono dentro noi stessi. Megéra lecca o si fa leccare? Il titolo, volutamente in inglese abbina una sonorità evocativa (il nome è entrato nel linguaggio comune come sinonimo di donna malvagia) ad una ambiguità lessicale che consente di tradurlo in entrambi i sensi (Megéra Lecca oppure Leccando Megéra). Alla ricerca di un confine tra mito e realtà ci rendiamo conto che il primo è lo specchio della seconda. “Red Megera”: variante infernale della visione delle furie. Il colore prevale ed assorbe il carattere realistico dei lineamenti, sfumando il contorno delle bocche che assumono l’apparenza di antri minacciosi in cui si nascondono le nostre peggiori paure. Rosso come carne e sangue, Rosso prosciugato dal corpo dolente di Clitemnestra e da quello tormentato di Oreste.
“Oreste’s regret”: L’ispirazione proviene dai “Lottatori” attribuiti a Mirone di Eleutère (V sec a.c.), una scena sportiva legata a regole precise che attribuiscono la vittoria all’atleta più abile e forte. Estrema confusione carnale tra due corpi con forte connotazione di ambiguità. Il punto di vista è quasi quello della telecamera che insegue i personaggi e sta loro addosso quasi a soffiare sui loro colli. Lo spettatore è quindi alle spalle dei personaggi ed è impotente rispetto all’esito di questo combattimento in cui la nudità e la posizione dei protagonisti impediscono di riconoscere gli stessi e di attribuire loro un’identità. Raciti lascia a chi guarda il compito di scegliere se la scena sia reale (Oreste uccide Egisto), se sia una rappresentazione plastica di conflittualità sublimata nello sport o infine espressione metafisica di un irredimibile/irrimediabile senso di colpa dal quale Oreste viene sopraffatto. Il confine tra realtà e metafora e indicato dalla sottile, quasi eterea linea che taglia il quadro a metà, orizzonte psichico ed unico segnale che distingue l’ambiente.
Il passaggio tra i piani della realtà e dell’ideale è percepibile al livello istintivo anche dalla posizione dei piedi che progressivamente si sollevano dallo sfondo nero ricevendo dallo stesso una potente forza dinamica valorizzata dalla prospettiva verso l’alto. E’ presente anche una forte componente sensuale: il groviglio dei corpi e la potenza muscolare avvolgono lo spettatore in una dimensione in cui il contatto fisico è comunque legato ad una rappresentazione corporea passionale. La scelta dei colori realizza graficamente il concetto di rimorso espresso in un celebre aforisma di André Suarès (“soltanto ruggine sul taglio di uno splendido acciaio”). Collegate al ciclo di quadri dedicato ai personaggi dell‘Orestea, le immagini di ritratti in bianco e nero. Soggetti scelti tra persone che l’artista conosce e che incarnano nella realtà quotidiana la verità di Oreste, (oggetto del giudizio delle Furie/Eumenidi), proprio perchè è nella quotidianità che nascono le nostre passioni più forti e che siamo esposti al giudizio sociale. (Antonio Pulvis)
Per info: info@agatinoraciti.com
(01 luglio 2009)