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Migrare è reato? Quali prospettive per rifugiati e migranti tra Italia ed Europa

Lunedì 22 giugno alle 18, a Palazzo Dusmet, conferenza sull'immigrazione. Martedì 23, veglia alla chiesa Crocifisso della Buona Morte

Il Leo Club Catania Bellini, in collaborazione con Amnesty International Guppo Italia 72, Centro Astalli e l’Università di Catania organizza per lunedì 22 giugno alle 18 (Palazzo Dusmet, Scienze Politiche, in via Dusmet 163), una conferenza dal titolo Migrare è reato? Quali prospettive per rifugiati e migranti tra Italia ed Europa.

A introdurre e moderare l’incontro sarà il presidente del Leo Club Catania Bellini Elio Sofia; interverranno inoltre la prof.ssa Francesca Longo, docente di Politica dell’Unione Europea alla facoltà di Scienze politiche di Catania, l’avv. Alessandro Schinco, che da anni si occupa per il Centro Astalli di seguire quanti si rivolgono al centro per richiedere aiuto e assistenza giuridica, e Giusy D’Alconzo ricercatrice nazionale di Amnesty International per l’Italia.

L'indomani, martedì 23 giugno alle 19:30 (Chiesa Crocifisso della Buona Morte), “Morire di speranza”, veglia di preghiera in memoria delle vittime dei viaggi verso l'Europa, seguirà nel salone di via Tezzano 71 una serata conviviale per salutare Padre Taormina.


 

Dal Rapporto Annuale 2009 di Amnesty International (maggio 2009)

Nel corso del 2008 sono entrati in vigore i decreti legislativi con i quali l'Italia ha adeguato la propria legislazione alle Direttive europee in materia di procedure d'asilo e qualifica di rifugiato: ciò ha reso la normativa nazionale sull'asilo più completa e dettagliata, sebbene persista la necessità di un testo organico che disciplini compiutamente i diversi aspetti della presenza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Il "pacchetto sicurezza", varato nel maggio 2008, ha proposto la cancellazione di un'importante garanzia contro la tortura e le persecuzioni contenuta nelle nuove norme: il meccanismo che consente al richiedente asilo di vedere la propria espulsione sospesa durante il tempo necessario al ricorso contro il rigetto della domanda di asilo in prima istanza (effetto sospensivo del ricorso). A seguito dell'intervento delle Camere, chiamate a esprimere un parere sul testo, e in ossequio al principio del "rimedio giudiziario effettivo", il governo ha infine mantenuto questo meccanismo (D.Lgs. 159/08 di modifica del D.Lgs. 25/08). Le regole applicative delle nuove norme sull'asilo, necessarie anche per l'efficacia della norma sull'effetto sospensivo, sono allo studio delle istituzioni.
Detenzione di migranti e richiedenti asilo all'arrivo: rischi ricorrenti per i diritti umani e il caso Lampedusa

L'Italia non ha risolto la questione della legittimità della detenzione dei migranti e dei richiedenti asilo immediatamente dopo l'arrivo. Come sottolineato dal Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite (Wgad), che ha visitato l'Italia nel novembre 2008, durante il primo periodo di permanenza nei centri dopo l'arrivo in Italia, i richiedenti asilo sono sottoposti a una detenzione de facto, priva di basi legali certe e di controllo giudiziario. Questo aspetto, assieme al complessivo approccio all'immigrazione hanno, in diversi casi, oscurato i miglioramenti nella gestione dei centri di detenzione per migranti segnalati in passato, tra i quali una maggiore trasparenza e la garanzia di accesso per l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) per le Organizzazioni non governative. I richiedenti asilo giunti via mare sono stati detenuti anche per settimane prima di avere la possibilità di formalizzare la propria domanda.

Nei primi mesi del 2009, i rischi di detenzione arbitraria all'arrivo, assieme a una politica "del respingimento" che è andata crescendo nei toni e nella drasticità, hanno prodotto un momento di forte allerta per i diritti umani con l'improvviso mutamento delle prassi relative al centro di Lampedusa. Attraverso una decisione annunciata a fine dicembre 2008, il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha stabilito che, dopo l'arrivo, migranti e richiedenti asilo dovessero restare nel centro di Lampedusa per tutto il tempo necessario all'espletamento delle procedure amministrative. Questa decisione è stata concretizzata attraverso provvedimenti amministrativi temporanei e non pubblici, che hanno mutato la natura del centro in Cie (Centro di identificazione ed espulsione, secondo la nuova sigla utilizzata per gli ex Cpta). È stata così ribaltata la politica adottata sino a quel momento che considerava Lampedusa come luogo di soccorso, dove svolgere soltanto una primissima identificazione, prima che le procedure amministrative potessero essere avviate in altri centri della Sicilia e del territorio peninsulare.

La nuova prassi ha avuto un grave impatto sui diritti umani di migranti e richiedenti asilo, che sono dovuti rimanere all'interno del centro di "Contrada Imbriacola" a Lampedusa per lungo tempo. Tale centro, che all'epoca poteva ospitare sino a 804 persone, è arrivato a contenerne anche 2000, con evidenti conseguenze per le condizioni igienico-sanitarie. Inoltre, le procedure di controllo dell'immigrazione irregolare effettuate nel centro non hanno garantito i migranti dal rischio di un rinvio verso un paese in cui avrebbero potuto essere perseguitati o sottoposti a tortura o altre gravi violazioni dei diritti umani (refoulement). Non è chiaro quante centinaia di persone, seguendo tali procedure, siano state rinviate nei paesi di origine (tra questi, la Tunisia). Nello stesso periodo è stata avviata la ristrutturazione di un secondo centro sull'isola, sito presso una base militare dismessa (base "Loran C"), all'interno del quale sono stati trattenuti da un certo momento in poi donne, minori e richiedenti asilo. Un incendio, propagatosi in seguito a una rivolta dei migranti, ha parzialmente distrutto il centro di "Contrada Imbriacola" a febbraio 2009; più di recente gli organi di informazione hanno riferito che i lavori per la ristrutturazione della base "Loran C" si sono fermati.

Violazioni dei diritti umani nel Mar Mediterraneo: ritardo nei soccorsi e rinvio forzato in Libia

Venendo meno a una politica che le ha viste spendersi per la salvezza di vite umane nel Mediterraneo, nel 2009 le istituzioni italiane hanno mancato ai principi fondamentali dei diritti umani mentre esercitavano le proprie funzioni in mare. Ad aprile 2009, l'Italia si è impegnata in una discussione con la vicina Malta, durante la quale le disquisizioni di diritto internazionale marittimo sono state anteposte al salvataggio delle vite umane, che in quel contesto dovrebbe rappresentare la priorità assoluta. Il 16 aprile 2009, la nave cargo turca "Pinar" ha messo in salvo circa 140 migranti e richiedenti asilo, le cui barche correvano il rischio di colare a picco. L'Italia sosteneva che Malta dovesse far sbarcare i migranti soccorsi, essendo stati recuperati nell'area maltese di soccorso in mare (Search and Rescue Area). La nave non è stata fatta entrare in porto da Malta né dall'Italia e i migranti sono stati lasciati al loro destino per quattro giorni, senza acqua e cibo a sufficienza, accampati sul ponte della nave. Soltanto il 20 aprile hanno avuto il permesso dall'Italia di raggiungere Porto Empedocle. Il 30 aprile un'analoga disputa si è conclusa con l'arrivo di migranti a Malta. Tra il 7 e l'11 maggio 2009, con una decisione senza precedenti, l'Italia ha condotto forzatamente in Libia circa 500 tra migranti e richiedenti asilo, senza alcuna valutazione sul possibile bisogno di protezione internazionale degli stessi e quindi violando i propri obblighi in materia di diritto internazionale d'asilo e dei diritti umani. Il 75 per cento delle persone che arrivano in Italia via mare sono richiedenti asilo e, secondo l'Unhcr, tra le persone rinviate in Libia vi erano cittadini somali ed eritrei, bisognosi di protezione. Tra gli obblighi dell'Italia nei confronti di chiunque si trovi sottoposto alla propria giurisdizione, vi è quello di non rinviare nessuno in un paese in cui sarebbe a rischio di persecuzioni, torture e altre gravi violazioni dei diritti umani e, rispetto a chi si trovi in condizioni di pericolo in mare, c'è quello di condurlo senza indugio in un posto sicuro, ossia un luogo che presenti le caratteristiche minime per garantire l'assistenza umanitaria e un'equa valutazione delle domande di asilo.

La Libia non ha una procedura d'asilo e non offre protezione a migranti e rifugiati. Considerato l'effettivo controllo che l'Italia ha potuto esercitare, seppur in zona extra-territoriale, sulle persone soccorse, essa sarà considerata responsabile di quanto accadrà ai migranti e ai richiedenti asilo riportati in Libia. Queste azioni rappresentano il portato finale, grave e prevedibile, di una cooperazione con la Libia perseguita e condotta, negli ultimi 10 anni, dai diversi governi che si sono succeduti e caratterizzata da scarsa trasparenza e nessuna condizione posta al governo di Tripoli sui diritti umani. La cooperazione tra Italia e Libia, che negli anni ha beneficiato della mediazione in prima persona, nei loro ruoli istituzionali di ministri, degli onorevoli Massimo D'Alema, Piero Fassino, Giuseppe Pisanu e Giuliano Amato, è culminata in un accordo quadro (detto di "Amicizia, partenariato e cooperazione") concluso dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Tripoli ad agosto 2008 e velocemente ratificato dal Parlamento a febbraio 2009. Un passaggio fondamentale di questo percorso è costituito dagli accordi tecnici conclusi a fine 2007, che dispongono il pattugliamento marittimo congiunto da parte di un nucleo operativo italo-libico, dichiaratamente a comando libico, per mezzo di navi della Guardia di Finanza fornite dall'Italia. Il 14 maggio 2009, tre motovedette della Guardia di Finanza sono state consegnate dal ministro Maroni al governo libico per il pattugliamento del Mediterraneo.

Il preoccupante percorso delle norme sull'immigrazione del "pacchetto sicurezza"

In nome della necessità di venire incontro a quella che viene definita dal governo "percezione di insicurezza" dei cittadini italiani, nel maggio 2008, il governo stesso ha varato un set di proposte di modifica legislativa complessivamente chiamate "pacchetto sicurezza", che riguardano per lo più l'immigrazione. Amnesty International ha sin dall'inizio guardato con estrema preoccupazione all'emergere di norme che, lungi dal rappresentare una pianificazione chiara e comprensibile della politica sull'immigrazione, hanno un impatto pericoloso sui diritti umani. Le singole proposte del "pacchetto sicurezza" hanno seguito un cammino tortuoso (ad esempio, singole norme sono state trasportate da un disegno di legge a un decreto legge e/o viceversa). Nel 2008 è stata introdotta la norma palesemente discriminatoria che considera un'aggravante generica del reato l'esser stato commesso da un immigrato irregolare, con conseguente incremento della pena. Pendono innanzi al Parlamento una serie di proposte che, se approvate, avrebbero un grave impatto sui diritti umani dei migranti irregolari. A maggio 2009, a seguito dell'apposizione della fiducia da parte del governo, la Camera dei deputati ha approvato il testo del disegno di legge (ddl 2180) il quale, fra le altre cose, introduce il reato di ingresso e permanenza irregolare nel territorio dello stato. Se confermata dal Senato, questa disposizione può produrre un'allarmante conseguenza sui diritti umani dei migranti irregolari: costretti dalla minaccia incombente di una denuncia da parte di ogni pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, essi sarebbero indotti a sottrarsi dall'incontro con ogni tipo di istituzione e ufficio pubblico, tenendosi alla larga da ospedali, scuole, uffici comunali, con immaginabili conseguenze sul diritto alla salute, all'istruzione per i figli, alla registrazione dei nuovi nati. 

Link utili:

www.amnesty.it
www.unhcr.it

www.centroastalli.it

www.nonaverpaura.org

(22 giugno 2009)

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