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La responsabilità nel concorso di persone: pratiche discorsive dei giuristi

Da giovedì 25 a sabato 27 giugno, convegno promosso da Giurisprudenza e Opco di Siracusa

Si svolgerà tra Catania e Siracusa, da giovedì 25 a sabato 27 giugno, il convegno su La responsabilità nel concorso di persone: pratiche discorsive dei giuristi, organizzato dalla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Catania e dall'Opco, Osservatorio Permanente Criminalità Organizzata di Siracusa.

L'inaugurazione si terrà a Catania giovedì 25 giugno alle 15.30: dopo i saluti del preside della facoltà di Giurisprudenza Vincenzo Di Cataldo, del Procuratore generale di Catania e presidente del comitato scientifico dell'Opco Giovanni Tinebra e del rettore dell’Università di Catania Antonino Recca, vicepresidente del comitato Opco, il prof. Giuseppe Speciale, ordinario di Storia del diritto medievale e moderno alla Facoltà etnea terrà la relazione introduttiva.

Seguiranno gli interventi dei docenti Beatrice Pasciuta (Università di Palermo), con una relazione dal titolo «De mandato aliorum et voluntate: responsabilità e concorso nella dottrina penalistica di diritto comune (XII-XIV secolo)»; Rosalba Sorice (Università di Catania) parlerà di «Voluntas et propositum distinguunt maleficia. L'emersione della responsabilità individuale nell'età del diritto comune»; Marco Cavina (Università di Bologna) interverrà su «Crimini imposti? Il mandatum superioris nel diritto comune»; Michele Pifferi (Università di Ferrara) che terrà un intervento dal titolo «Responsabilità penale e concorso di persone nella criminalistica del Cinquecento» e infine Elio Tavilla (Università di Modena Reggio Emilia), che parlerà di «Il concorso di persone nella «Constitutio criminalis» di Carlo V e nella dottrina di Samuel Boehmer».

Il giorno successivo, venerdì 26 giugno (ore 9) il convegno si sposta a Siracusa, nella sede dell'Opco. A intervenire saranno questa volta Ettore Dezza (Università di Pavia) su «Concorso di persone e modelli di codificazione penale»; Luigi Lacché (Università di Macerata) su «Responsabilità penale e concorso nell'Ottocento: il problema del brigantaggio»; Massimo Meccarelli (Università di Macerata) su «Tra codice e provvedimenti d'eccezione: dinamiche di espansione del penale alla fine dell'Ottocento»; Giovanni Chiodi (Università di Milano-Bicocca) su «La responsabilità del concorrente per il reato diverso da quello voluto tra Otto e Novecento»; Marco Nicola Miletti (Università di Foggia) su «La complicità nei lavori preparatori del Codice Zanardelli».

Nel pomeriggio, a partire dalle 15.30, prenderanno la parola Giorgia Alessi (Università di Napoli Federico II) su «Repressione penale e paradigma associativo: un nodo irrisolto della giurisprudenza d'età liberale?»; Morris Lorenzo Ghezzi (Università di Milano) su «Responsabilità o imputazione: il diritto come convenzione di libertà»; Francesco Spadaro (Psichiatra Psicoanalista SIPP) su «Attualità psicosociale del concorso di persone»; Antonino Fallone (Magistrato) su «Concorso esterno: tra tipicità / atipicità, sostanziale e probatoria, della fattispecie penale e tutela del bene giuridico» e Sergio Seminara (Università di Pavia) su «Il concorso di persona nei progetti di riforma».

A concludere i lavori del convegno, sabato 27 giugno (ore 9, Siracusa), saranno Tommaso Rafaraci (Università di Catania), Nicoletta Sarti (Università di Bologna) e Giuseppe Speciale che parteciperanno al dibattito condotto da Giovanni Tinebra.


Il genus della compartecipazione criminosa è stato assunto ad oggetto dell’appassionata riflessione dei giuristi fin dai tempi dei primi glossatori e, via via, fino ai nostri giorni. Gli studiosi sono consapevoli della complessità della materia e si impegnano nel tracciare i confini tra il consilium, l’auxilium, il mandatum, la locatio, la ratihabitio, assumendo di volta in volta criteri discretivi che non sempre si rivelano stabili. La classificazione, per quanto faticosa, è meritoria perché feconda di risultati e perché consente ai giuristi di impostare correttamente il problema fondamentale che essi sono chiamati ad affrontare: il problema della responsabilità.

Si tratta infatti di capire se, ed eventualmente in quale misura, sia imputabile al dans il consilium, o il mandatum, o l’auxilium, l’atto compiuto dall’accipiens; si tratta di capire se, ed eventualmente in quale misura, il contributo all’ideazione o alla realizzazione del reato — fornito da un soggetto diverso dall’autore, materiale esecutore — possa ritenersi causa (causa efficiens) della commissione del reato stesso. Si tratta, inoltre, di stabilire se quello compiuto con modalità di partecipazione e livelli di coinvolgimento diversi, dai distinti concorrenti, possa considerarsi un unum delictum. L’indagine sulla volontà, e sul reciproco influenzarsi delle volontà di soggetti distinti, la valutazione del libero arbitrio, le inafferrabili modalità secondo le quali di volta in volta si combinano volontà e comportamenti, il rapporto tra volontà e responsabilità, costituiscono i nodi del problema della responsabilità, del giudizio pratico sulla responsabilità, che i giuristi sono chiamati a sciogliere.

Su questo problema la scienza giuridica si cimenta con approcci diversi, ora identificando la volontà con la responsabilità e finendo con il far coincidere la responsabilità con il disvalore sociale che oggettivamente il fatto esprime; ora soffermandosi sulla libertà di scelta, sul libero arbitrio; ora indagando le relazioni tra volontà di soggetti distinti nel contesto delle condizioni ambientali sociali psicologiche. Da subito, sin dall’età dei glossatori, i giuristi percepiscono che il problema della responsabilità deve affrontarsi con approcci che tengano conto delle diverse variabili in gioco. Nell’acribia delle distinzioni in cui si impegnano a inquadrare i vari possibili modi in cui comportamenti e volontà di soggetti distinti concorrono alla realizzazione di un reato si riflette proprio la consapevolezza dell’insufficienza di un approccio fondato su un solo criterio.

La miriade di figurae di concorso descritta dalla dottrina bassomedievale e dell’età moderna è irriducibile e incomprimibile in una rigida tipizzazione normativa. Significativamente Vico, anche in anni che segnano una cesura tra due esperienze giuridiche, avverte che il problema della responsabilità, del giudizio pratico sulla responsabilità, considerata l’inafferrabilità del libero arbitrio, può affrontarsi con lo strumento del senso comune. Riprendendo Vico — «L’umano arbitrio, di sua natura incertissimo, egli si accerta e determina col senso commune» — Alessandro Giuliani può ben affermare che il senso comune «rappresenta quindi l’unica misura su cui si possa cominciare un discorso umano riguardo alla responsabilità umana». E proprio al senso commune sembra che i giuristi abbiano finito per ancorare le conclusioni dei loro complessi ragionamenti tutte le volte che nell’età del diritto comune, e anche oltre, si sono occupati di questi problemi. Fino ai nostri giorni, quando — constatato il fallimento di quegli esperimenti codicistici che miravano a una tipizzazione del concorso, e l’insufficienza del criterio causale per la determinazione della misura della responsabilità dei concorrenti — i giuristi hanno proposto l’adozione di un approccio multifattoriale, che sostituisce al criterio fondato sulla causalità un insieme variabile, di volta in volta variabile, di criteri, più adatto a valutare le complesse dinamiche relazionali tra i concorrenti e le altrettanto complesse relazioni tra i contributi dei concorrenti.

Un filo rosso lega le opere dei giuristi che dal basso medio evo ai nostri giorni si sono occupati del problema. E questo filo non è costituito solo, e tanto, dal tema comune — che riguarda vicende e rapporti umani quali l’incontro e la reciproca influenza di volontà distinte e l’intreccio di pulsioni, interessi e passioni — quanto dalla continuità di certe pratiche discorsive condivise nella scientia iuris e accomunate proprio dal ricorso a quel senso comune. Il filo rosso arriva fino ai nostri giorni, fino al nervo, ancora oggi scoperto, della cultura, e dell’esperienza, giuspenalistica europea tuttora divise tra modelli in cui le modalità che integrano il concorso sono tipizzate sul piano normativo e modelli in cui l’individuazione di tali modalità è rimessa alla iurisprudentia. Questo filo rosso, di cui vogliamo occuparci, riesce a superare le fratture che connotano i differenti contesti normativi, culturali e politico-istituzionali dell’età medievale rispetto all’età moderna e a quella dei codici.

(25 giugno 2009)

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