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Vincenzo Pirrotta in "Eumenidi"

Al Teatro Musco dal 14 al 18 marzo per nuovoteatro, il cunto di Vincenzo Pirrotta incontra il mito di Atreo da Eschilo e dalla traduzione di Pier Paolo Pasolini per la regia dello stesso Vincenzo Pirrotta
Gradito e atteso ritorno quello di Vincenzo Pirrotta nell’ambito di nuovoteatro, il cartellone che il Teatro Stabile di Catania dedica alla drammaturgia sperimentale dei nostri giorni. L’autoattore presenterà Eumenidi, una riflessione sul terzo capitolo dell’Orestea di Eschilo, che egli ha rielaborato in siciliano partendo dalla traduzione di Pier Paolo Pasolini. A firmare la regia è lo stesso Pirrotta con la collaborazione di Pasquale De Cristofaro. Al Musco dal 14 al 18 marzo, l’importante coproduzione associa CTB Teatro Stabile di Brescia, Biennale di Venezia, Fondazione Orestiadi di Gibellina e Teatro di Roma.
Eumenidi, nella singolare lettura di Pirrotta, adatta ad Atreo e Tieste le forme del cunto della narrazione epica dedicata in genere a mori e paladini, con il dialetto siciliano che si arricchisce di improvvise e particolarissime variazioni ritmiche, strane scansioni vocali che imprimono alla dizione una forza incalzante e insieme un’asciutta astrazione. La scenografia di Pasquale De Cristoforo è essenziale: un grande cubo di cristallo, che rimanda ad un dipinto di Francis Bacon. Forte è l’impatto delle musiche dalla sonorità violentemente primordiale, composte da Roberto Ciammarrughi ed eseguite dal vivo da Emanuele Esposito e Gianni Maestrucci (percussioni), Angelo Lazzari (chitarra). Sulla scena, insieme a Pirrotta che incarna sia Oreste sia Clitennestra, agiscono tre attori Giovanni Calcagno, Maurizio Montalto, Salvatore Ragusa, e il contraltista Maurizio Rippa che dà al discorso di Atena una personale e peculiare intensità musicale.
In questa rivisitazione della tragedia, Pirrotta capovolge la tradizionale prospettiva interpretativa che esalta la catarsi finale. Nuove angolazioni assume così la vicenda e il destino di Oreste, in fuga perché inseguito dalle Erinni, le dee della vendetta, che lo perseguitano per avere ucciso Clitennestra, la madre adultera, e il suo amante Egisto, colpevoli a loro volta dell’uccisione del re Agamennome, padre di Oreste e Elettra. Durante la fuga, Oreste approda ad Atene, dove è sottoposto al giudizio dell’Areopago, tribunale composto di dodici cittadini e in cui due dei - Apollo e Atena - hanno funzione di garanzia e difesa dell’imputato. Il verdetto sarà pari, per questo il voto della dea, protettrice della città, sarà decisivo e manderà assolto il matricida, mentre le Erinni, finalmente placate, si trasformeranno in dee e diventeranno Eumenidi.
Molti hanno letto nella trilogia eschilea, e in questo scioglimento, un inno alla nascita di una prima forma di giustizia civile contro quella tribale. Pirrotta costruisce invece uno spettacolo bello e spiazzante. C’è in questa scelta sia il ricordo della biografia d’Eschilo, che morì esule a Gela, sia un’intelligente e forte attualizzazione della tragedia, con i cittadini-giurati pronti a mercanteggiare il verdetto per convenienza. Così lo spirito profondo del testo, anziché celebrare la nascita della giustizia, ne sancisce la morte. «Una svolta pessimista e realista di grande impegno - come pure è stato scritto -, che fa della rappresentazione una struggente metafora di un mondo che non procede dalla barbarie all’ordine, ma precipita dall’ordine nella barbarie».
Vincenzo Pirrotta ha ricevuto il premio dell'Associazione Nazionale Critici, quale autore, attore e regista di Eumenidi «per la prorompente fisicità attorale e la forza interpretativa che unisce nei suoi spettacoli allo stesso tempo tradizione e modernità». Racconta l’autore: «Sono stato allievo di Mimmo Cuticchio. Il suo teatro e la tradizione siciliana dell’opera dei pupi sono la base professionale di un lavoro che poi ho via via sviluppato personalmente. Ho preferito concentrarmi sulla parte vocale e sull’utilizzo del corpo, lasciando da parte la manipolazione dei pupazzi, a cui mi sentivo meno portato. Avevo già lavorato alla trilogia di Eschilo. La raccontavo in pubblico utilizzando le forme popolari del cunto, affidandomi alla particolare scansione ritmica di questo tradizionale genere siciliano di racconto. E proprio avendo fatto tesoro dei ritmi del cunto tradizionale, sono andato alla ricerca di forme più arcaiche, quelle ancora vive nella tradizione nordafricana e magrebina, le cui assonanze sono presenti nella cultura della mia isola».

(18 marzo 2007)

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