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L'ultima sfera. Breve storia filosofica della globalizzazione

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Mercoledì 13 febbraio alle 17 alla libreria Tertulia incontro-dibattito sul libro di Peter Sloterdijk per il circolo di lettura “Communitas” . Introduce Roberto Fai

Mercoledì 13 febbraio alle 17 alla libreria Tertulia, via Michele Rapisardi 1, si terrà un  incontro-dibattito sul libro L'ultima sfera. Breve storia filosofica della globalizzazione di Peter Sloterdijk, nell'ambito del circolo di lettura “Communitas”. Introduce Roberto Fai.

Peter Sloterdijk - Uno dei più originali e controversi intellettuali europei interviene con questo libro su un tema caldo degli ultimi anni, analizzando la globalizzazione dall'inedito punto di vista della storia delle idee. Anche se tendiamo a considerare la globalizzazione come un fenomeno caratteristico dell'epoca presente, spiega Sloterdijk, la civiltà occidentale ha avuto fin dalle sue origini una profonda familiarità con la dimensione globale. Globali furono i filosofi e i matematici dell'antichità quando ragionavano sul posto della Terra tra le sfere celesti. Globali furono i pionieri delle esplorazioni marittime e i cartografi che fornivano loro le mappe per la navigazione. Globali furono i missionari cristiani.


Peter Sloterdijk, L’ultima sfera. Breve storia filosofica della globalizzazione (Carocci editore, 2002). Dell’autore, Peter Sloterdijk, professore di Estetica e Filosofia all’Università di Karlsruhe e di questo libro, uscito lo scorso anno, si è discusso poco in Italia. Forse perché l’argomento globalizzazione è fin troppo dibattuto nei media, nella pubblicistica corrente, nella prolissa politologia ufficiale con effetti spesso ora fuorvianti ora inutilmente retorici. L’idea centrale del libro, per certi aspetti innovativa, è che l’intera storia dell’Occidente può essere visualizzata come una sequenza o fasi della globalizzazione e come un processo millenario che ha intrecciato onde lunghe e onde brevi dei fenomeni storici ed economici. "Quel che alla fine del XX secolo viene magnificato, mitizzato e screditato dai mass media sotto il nome di globalizzazione- come se fosse una novità- interpretato in questa prospettiva non è altro che un tardo e confuso episodio nel quadro di avvenimenti molto più vasti […]"(p.26). La radicalità di questa posizione eclissa le principali differenze del mondo globalizzato: Nord/Sud (differenza quantitativa), Occidente/Oriente (differenza qualitativa o culturale). Tali coppie sono ormai tutte da rivisitare perché non reggono più nel loro schema duale e quindi oppositivo. Ma c’è un secondo motivo d’interesse che è contenuto nel sottotitolo del saggio, Breve storia filosofica della globalizzazione e che annuncia il tentativo di delineare un compendio filosofico dei processi di globalizzazione a partire da alcuni concetti portanti: esteriorità, farsi immagine, scoperta, possibilità di invio, rilevamento, investimento, ecumene, rischio ecc. Intorno a questi due assi tematici, Sloterdijk dipana il discorso lungo 27 stringenti e densissimi capitoli o altrettanti percorsi di ricerca analizzando spregiudicatamente i concetti di terra e mondo così come si sono imposti nell’immaginario dell’Occidente sin dai Greci e via via determinanti per la costruzione del paradigma della conquista nell’età moderna.
Il passaggio da una visione aurorale e metafisica del globo ad una pragmatica e calcolante si afferma quando "la globalizzazione terrestre costituisce proprio la vittoria dell’interessante sull’ideale"(p.15) cioè quando la terra di cui si constata la rotondità non è più bella, liscia e perfetta ma interessante sia pure contaminata di crepe, cicatrici e irregolarità. Di conseguenza, "nell’età moderna non sono più i metafisici, bensì i geografi e i marinai coloro ai quali tocca il decisivo compito di fornire un’immagine del mondo, di rappresentare l’ultima sfera" (p.17).
La sfera terrestre assurge pertanto a icona della visione del mondo dell’età moderna., non solo in virtù delle prime circumnavigazioni della terra compiute da Magellano e da Francis Drake.ma anche per le conseguenze che queste imprese rappresentavano per il capitalismo moderno cioè un’enorme accumulazione di merci e di capitali. Il globo esplorato e conosciuto in ogni angolo diventa "come un segreto orologio che in uno spazio lontano, sotto le immagini dei mari, delle isole e dei continenti, batte le ore del profitto"(p.49). In realtà sul ruolo delle scoperte geografiche nella formazione del mercato mondiale aveva già insistito Marx nel Manifesto del Partito comunista per il quale la modernità si caratterizzava come un imponente processo di rivolgimenti nei modi di produzione, del traffico e dell’accumulazione di denaro. "Il dato principale dell’età moderna - scrive Sloterdijk con una formula suggestiva - non è quello che la terra gira intorno al sole, ma che il denaro gira intorno alla terra" (p.51). Al tema del denaro l’autore dedica uno straordinario capitolo di economia politica "Il movimento fondamentale: il denaro fa ritorno" in cui il confronto con Marx si fa più fecondo poiché la metamorfosi marxiana merce-denaro-merce trova la sua ragion d’essere nell’idea del giro della terra; infatti, "in forma di merce il denaro si lancia sul mare aperto dei mercati ed è costretto, come normalmente lo sono le navi, a sperare in un felice ritorno nei porti di partenza […]"(p.77). E così la follia di espansione del globo diventa ragione di profitto. Si tratta - continua Sloterdijk - di una vera sottomissione del globo alla forma delle rendite, cioè del denaro che fa ritorno moltiplicato sul conto di partenza. L’esploratore è il nuovo attore globale (idealtipico) che assume il rischio quale linfa vitale del suo inquieto viaggiare sul globo ricoperto di masse d’acqua. Questo scenario dell’età moderna, i cui simboli sono mappamondi e planisferi, spazza via modelli, visioni del mondo, credenze, barriere, confini, protezioni e muta con insolita radicalità la posizione dell’uomo nel mondo.
L’epoca del globo come recita un capitolo strategico del libro è un’epoca di assoluto spaesamento degli uomini che "non possono più sentirsi a casa negli spazi interiori del mondo (Weltinnenräume) che sono stati loro tramandati […]"(p.25).
L’autore si serve di una potente metafora rilkiana (Weltinnenräume) per richiamare il senso di appartenenza degli uomini dell’antichità alla terra, la cui consistenza era data da un terreno solido e da un confine indistruttibile. La terra abitata è la prima ecumene (oikuméne) pensata ed elaborata dall’Occidente, nella fattispecie dal pensiero greco, in cui gli uomini si sentivano a casa propria, esperivano un dentro e fuori, si riconoscevano in un comune telos sociale, cioè "erano al riparo dal pericolo di raggelarsi di fronte a un’esteriorità assoluta"(p.27).
Viceversa, nei processi di globalizzazione terrestre caratterizzanti la seconda ecumene, gli esseri umani diventano esterni a se stessi, perdono la loro consistenza e con essa il loro legame con la terra e con il mondo. Ormai gli uomini sono esseri viventi costrettì "a condurre la propria esistenza sul margine esterno di un corpo rotondeggiante e accidentato perso nell’universo"(p.29) che non può dare più nessun riparo o protezione.
La contingenza - sembra suggerire Sloterdijk- è la cifra della moderna condizione umana esposta sull’orlo dell’abisso (cosmologico) che è perdita di mondo e di centro. L’uomo, per dirla con Deleuze, diventa così un para-soggetto incerto e frantumato di una storia universale della contingenza. Il nuovo corso della globalizzazione sbalza in modo imprevisto gli esseri umani lontani dal centro, trasforma i mondi della vita (Lebenswelten), città, villaggi in gelide e asettiche ubicazioni sulla superficie del globo che non è più "una casa per tutti, ma un mercato per ciascuno"(p.166).
La mutazione antropologica è senza precedenti: "il risultato antropologico della globalizzazione cioè la sintesi logica dell’umanità in unico possente genere e la sua riunione in un compatto e sincronico mondo del traffico, è il prodotto di un ardito e convincente lavoro di astrazione e di ancor più arditi e vincolanti movimenti di traffico"(p.158).
L’analisi di Sloterdijk si concentra pertanto sul formidabile intreccio tra teoria della globalizzazione e teoria dell’umanità con accenti inquietanti per il futuro dell’uomo sulla terra. Dentro queste coordinate, si distendono le altre parti del libro con un ritmo a spirale poiché le medesime questioni ritornano a differenti livelli di profondità e in ambiti disciplinari che si implicano a vicenda. La trama del libro è avvincente, ricca di citazioni, di accostamenti obliqui, di punti di fuga: non c’è criterio privilegiato o direzione più marcata di un’altra che possa raccontare la vera storia della globalizzazione, piuttosto è sensato parlare di proliferazioni di modalità di narrazione del fenomeno che ha cambiato la storia del mondo.
Il rischio è che la globalizzazione terrestre diventi un assioma, quasi un destino naturale a cui è difficile sottrarsi, a meno che non si sperimentino forme di un nuovo universalismo alternativo e antagonistico a quello dominante. Ma è difficile trovare tracce di questo discorso nel libro se non in qualche accenno finale. Tuttavia l’originalità del lavoro di Sloterdijk è che si tratti di un nuova grammatica della globalizzazione che occorre imparare a conoscere per leggere, in maniera inedita, i processi di trasformazione del mondo.

 

 

 

 

 

 

(13 febbraio 2008)

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