Dal 10 al 15 marzo, al Teatro Stabile di Catania, andrà in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett, per la regia di Maurizio Scaparro.
E' una produzione Teatro Carcano di Milano. Estragone e Vladimiro, Pozzo e Lucky, antieroi in bombetta. L'uno è spalla dell'altro. Un quartetto indissolubile di marionette che meditano sull'infelice felicità della vita e attendono indolenti (e invano) un misterioso personaggio, insieme alla luna, ad un albero e ai colori della notte. Si tratta di un gioco tragico che però non esclude la leggerezza, la risata e persino la speranza. Questo è il non- racconto, scarno ed essenziale, di Aspettando Godot. L'opera più conosciuta di Samuel Beckett, nato a Dublino nel 1906 e premio Nobel per la letteratura nel 1969.
Si tratta della prima messinscena beckettiana per Maurizio Scaparro, tra i più autorevoli regista della scena italiana ed internazionale, che si circonda di un formidabile quartetto di attori di grande valore e temperamento formato da Antonio Salines (Estragone), Luciano Virgilio (Vladimiro), Edoardo Siravo (Pozzo), Enrico Bonavera (Lucky). Accanto a loro Michele Degirolamo nel ruolo del Ragazzo. La nuova produzione, firmata dal Teatro Carcano di Milano, ha voluto le scene di Francesco Bottai e i costumi di Lorenzo Cutùli, il disegno luci di Salvo Manganaro.
Scritto tra la fine del 1948 e l'inizio del '49, En attendant Godot fu subito definito un capolavoro che provocherà disperazione negli uomini in generale e in quelli di teatro in particolare. I vagabondi protagonisti dell'opera sono, infatti, diventati l'emblema della condizione dell'uomo del Novecento, essere in eterna attesa, vagante verso la morte, punto minuscolo nella vastità di un cosmo ostile, contrassegnato già dalla nascita (partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte, dice Pozzo).
Pioniere del Teatro dell'assurdo, lo scrittore irlandese ha, infatti, fortemente segnato il panorama scenico del secondo dopoguerra, prediligendo per i suoi testi una dimensione che trascende il dato personale per sciogliersi nell'anonimato della grande città, luogo dell'anima, percorsa in lungo e in largo da esseri inquieti, solitari, romantici, incattiviti, mutilati nel corpo e nella mente, chiusi in una forma - il corpo - destinata a dissolversi, ma decisi a portare avanti fino all'ultimo la loro giornata umana.
(10 marzo 2015)