Giovedì 15 novembre alle 21.15, al Teatro Sangiorgi, prosegue il calendario dell'Associazione Musicale Etnea 2007-2008, per la sezione Tema, concerti tematici, con il concerto del pianista Ramin Bahrami: Un testamento di Bach ai vertici dell'arte musicale (il pianista si esibirà alle 11 al Teatro Sangiorgi per il calendario dei Concerti per le scuole).
Nato a Teheran, Ramin Bahrami si è diplomato in pianoforte con il massimo dei voti e la lode sotto la guida di Piero Rattalino. Quest’ultimo descrive così il proprio allievo: «scompone la musica di Bach e la ricompone in modi che risentono di un modello: Glenn Gould». Dal suo debutto concertistico, trasmesso dalle reti Mediaset, la stampa ha accostato la genialità di questo interprete, ora internazionalmente noto, alla sua rigorosa precisione esecutiva e all’incredibile versatilità. I suoi cd sono pubblicati dall’etichetta discografica Decca.
Per informazioni, abbonamenti, prenotazioni: Associazione Musicale Etnea, via Museo Biscari 10, Catania tel. +39 095 32 12 52 e-mail: info@ame.ct.it sito web: www.ame.ct.it
Johann Sebastian Bach, Die Kunst der Fuge
(note di sala*)
Die Kunst der Fuge: come può la parola invitarci all'ascolto di questa summa musicae? Una via consiste nel riflettere sui due termini centrali del titolo: Kunst e Fuge. Traduciamo il tedesco Kunst con «arte», ma ciò è del tutto insufficiente a comprendere cosa dice, essenzialmente, la parola Kunst. Essa richiama i verbi können, «sapere (fare)», e kennen, «conoscere». Kunst significa l'unione di prassi e conoscenza: essere in grado di fare ciò che si conosce e, insieme, conoscere ciò che si fa in quanto lo si sa fare. In Kunst giunge all'unità ciò che nel Medioevo era distinto: da un lato, la musica sonora, che si esegue e si ascolta, la musica practica, sia essa profana sia canto di lode a Dio; dall'altro, la musica mundana, la struttura matematico-armonica del cosmo, la musica speculativa vel contemplativa, la teoresi, la conoscenza di Dio. Due sono le definizioni di «musica» che leggiamo in Isidoro di Siviglia (VI-VII secolo): «Musica est peritia modulationis sono canuque consistens, qua quis peritus est modulari, id est dulciter cantare» [«Musica è conoscenza pratica del moto misurato di suono e canto, con cui si acquista la capacità di cantare secondo un moto misurato, cioè piacevolmente»] e «Musica est disciplina vel scientia, quae de numeris loquitur, qui inveniuntur in sonis» [«Musica è disciplina o scienza, che parla dei numeri, che si trovano nei suoni»]. La distinzione tra musica come peritia e musica come scientia è anche, nel Medioevo, separazione di professioni: mentre il cantor è il professionista della produzione musicale o della sua esecuzione, il musicus è il teoreta della mundana armonia, lo studioso e il maestro dell'ars musica, disciplina del quadrivium o quadruplex via ad sapientiam (aritmetica, geometria, musica, astronomia); se il cantor perfeziona la sua attività per usum, ossia attraverso l'esperienza del fare, è per artem che il musicus conosce i fondamenti razionali dell'armonia cosmica. Se già con i maestri fiamminghi l'unione di peritia e scientia diventa sempre più salda, essa si compie con la rivoluzione strumentale del Seicento, divenendo indissolubile nell'opera di Johann Sebastian Bach. Bach è il massimo cantor per artem, l'icona occidentale della conquistata unità di pratica e scienza. Unità, non unione: non infusione nell'attività musicale di precedenti eterne conoscenze, non una (tautologica) materializzazione sonora di una (ossimorica) astrazione sonora. L'unità della creazione bachiana testimonia la comprensione scientifica della prassi, la sapienza del fare musica, l'unità indivisibile di scienza e artigianato. Se c'è un termine che indica più di ogni altro questa conquista e che, al tempo stesso, è immediatamente associato a Bach, è proprio la parola «fuga»: la fuga è il fulcro del pensiero musicale bachiano.
Che cos'è una fuga? Proviamo a darne una definizione operativa: una fuga è la struttura sonora che si ottiene seguendo alcune regole. Quali? Immaginate di dover tessere un tappeto seguendo le seguenti istruzioni: 1) utilizzare un unico disegno fondamentale, una breve figura da sottoporre a trasformazioni; 2) disegnare figure secondarie derivate dalla figura principale o, comunque, in stretta relazione con quella; 3) distribuire i fili per colore e secondo determinati rapporti spaziali tra i colori; 4) non creare vuoti, cioè non fare buchi nel tappeto. Adesso immaginate di dover fabbricare un tappeto fatto di due, tre, quattro o cinque tappeti sovrapposti, osservando le stesse regole non soltanto per ogni singolo tappeto-costituente ma anche per il tappeto-totale, ovvero per le relazioni tra tutti i tappeti-costituenti. Nella fuga, la figura fondamentale si chiama «soggetto», quella secondaria «controsoggetto»: la distinzione non implica una maggiore presenza della prima rispetto alla seconda, ma solo una gerarchia generativa, il cui principio è il soggetto. Accanto ad esse, altre figure, brevi linee, punti e intrecci: un mondo di relazioni sonore, di giochi complessi, di multiformi invenzioni costruttive. Un microcosmo sonoro al caleidoscopio. In alcune sezioni due sole voci si contrappuntano, in altre tutte prendono parte alla tessitura. Il silenzio è solo parziale, non è mai di tutte le voci. Il tappeto non ha buchi. La densità è pressoché costante, pur con rarefazioni e condensazioni, in un moto continuo, incessante. Assistiamo, nel tempo, alla tessitura del tappeto. Ed ecco la meraviglia: nel tempo, la fuga non ha tempo. Nella fuga il tempo è un paradosso. Non vi è sviluppo temporale, ma soltanto elaborazione motivica; non télos, ma geometrie e prospettive. La fuga eredita tutte le tecniche del contrappunto medievale e rinascimentale e le impiega in un nuovo telaio, la tonalità. Nel telaio tonale, sottoposto a tensioni e distensioni, verranno realizzati illuministici tessuti discorsivi, ricchi di contrasti; ma qui, nella fuga, il rapporto tra le tonalità non ha nulla in comune col drammatico viaggio tonale della forma-sonata. Quando Diether de la Motte scrive: «Il contrappunto armonico bachiano è comprensibile solo alla luce della storia della tonalità» (Kontrapunkt. Ein Lese- und Arbeitsbuch, 1981), per «storia della tonalità» è da intendersi ciò che viene dopo Bach, non quel che lo precede. Nella fuga, la gravitazione tonale non costituisce un campo di forze discorsive che si evolve nel tempo, non si dà superamento di ciò che è già avvenuto, non si cerca la soluzione dinamica di un conflitto. Il tempo è semplicemente il mezzo in cui la fuga si spiega, mostrando, nell'intrecciarsi di trama e ordito, il suo farsi: la generazione di un organismo dalla cellula-madre, attraverso le metamorfosi della cellula stessa. L'arte della fuga, la tecnica fugale, è la variazione continua di un'unica idea sonora e l'incastro delle idee derivate. Come sostiene Anton Webern (Der Weg zur neuen Musik, conferenze viennesi 1932-1933), la suprema coerenza e unitarietà della Kunst der Fuge consiste nell'essere «un grosso libro di idee musicali, il cui contenuto parte da una sola idea!».
Idee musicali. Die Kunst der Fuge è scritta in partitura e senza indicazione di strumenti: un pentagramma per ogni voce, con la relativa chiave. Ciò viene spesso interpretato come attestato di astrazione dell'opera, musica visiva più che auditiva. Astrazione e pitagorismo sono stati oggetto di studio di Hans-Eberhard Dentler (Johann Sebastian Bachs Kunst der Fuge. Ein pythagoreisches Werk und seine Verwirklichung, 2004), che ha voluto evidenziarne la centralità nella musica bachiana e nella concezione artistica della «Correspondierende Societät der musicalischen Wissenschaften» [«Società di corrispondenza per le scienze musicali»]; a cui Bach, Kantor e Director musices a Lipsia dal 1723, prese parte nel 1747. Non dobbiamo però dimenticare che le idee che compongono il «grosso libro» sono idee musicali, non astrazioni smaterializzate, non rapporti matematici, non ars musica. La notazione in partitura evidenzia la condotta delle parti e non è necessariamente espressione di indeterminatezza strumentale: Frescobaldi, Froberger, Buxtehude scrivevano in partitura la musica polifonica per un solo strumento a tastiera. Gustav Leonhardt, nell'introduzione alla sua incisione del 1969, scrive: «[…] la maggior parte della musica per tastiera, che attorno al 1750 non era affatto polifonica, veniva annotata su due pentagrammi, mentre Die Kunst der Fuge continua l'antica tradizione della polifonia nella musica per strumenti da tasto». Altra questione controversa riguarda l'incompiutezza dell'opera, questione che si complica con la collazione delle due fonti principali: l'autografo (conservato alla Deutsche Staatsbibliothek di Berlino) e la prima edizione (postuma, 1751), in cui non sono identici né il numero né la successione delle fughe. Secondo la maggior parte degli studiosi, l'interruzione – per la morte di Bach – del Contrapunctus XIV (Fuga a 3 soggetti) alla battuta 239, sarebbe l'interruzione dell'opera intera; la quale riporta, sonora firma dell'autore, le note indicanti il suo nome (sib-la-do-si, B-A-C-H nella nomenclatura tedesca) come terzo soggetto di questa fuga conclusiva. Contrariamente, Leonhardt ritiene che il Contrapunctus XIV non appartenga all'opera e che questa sia decisamente compiuta. Per tutti, L'arte della fuga rappresenta il testamento contrappuntistico di Bach. Un'opera in cui confluisce la grande tradizione dello «stile antico», fusa con un'avanguardistica esplorazione cromatica: «Si dovrebbe coniare una parola diversa da modulazione per descrivere quello che fa Bach in una fuga […] penso che Bach in quest'opera modifichi il proprio stile armonico. Nell'Arte della fuga non c'è niente che possa essere simile alla netta modulazione […] non modula mai nel senso convenzionale, ma lascia la straordinaria impressione di un universo infinitamente in espansione» (Glenn Gould, al pianoforte e in conversazione con Bruno Monsaingeon nel 1981).
Un universo da leggere e ascoltare.
* di Rosario Scafili
(15 novembre 2007)